Piano piano stiamo uscendo dalla crisi pandemica e lo dimostra anche il mercato del lavoro, che recepisce gli impulsi dei diversi cicli economici in maniera sempre sfalsata. In Gran Bretagna, per esempio, manca un milione di lavoratori e le imprese sono in enorme difficoltà nel reperire il personale necessario allo svolgimento dell’attività, in questa fase di crescita. Un po’ per colpa della Brexit, che ha ridotto i flussi immigratori, un po’ per le significative politiche di sostegno al reddito, che a volte disincentivano chi è disoccupato a cercarsi un lavoro.
Tutto il mondo è paese ed il mondo sta cambiando però! Qualche anno fa l’enorme domanda di lavoro da parte delle aziende inglesi avrebbe spinto tanti italiani ad emigrare in Gran Bretagna ma oggi, anche da noi, ci sono centinaia di migliaia di opportunità di impiego. Secondo una ricerca di UnionCamere e Anpal, la domanda di lavoratori da parte delle imprese in Italia supera i livelli pre-covid di oltre il 20% e mancano all’appello un terzo delle professionalità richieste. Entro novembre si stimano assunzioni per più di 1,5 milioni di lavoratori nel nostro Paese. Oltre che nello sport – come dimostrano i recenti successi ad Euro 2020 da parte della nazionale italiana di calcio ed alle Olimpiadi con i nostri centometristi – adesso ce la giochiamo con l’Inghilterra anche in materia di lavoro!
Non mancano gli incentivi economici per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoratori: ben 4,5 miliardi arriveranno in Italia dal fondo “React EU” (Reagisci Europa). Serviranno oltre che a ridurre le imposte per favorire le assunzioni di giovani e donne, anche per finanziare la formazione dei lavoratori. E ce n’è un gran bisogno per colmare il gap italiano di competenze e professionalità, in particolare nell’uso delle nuove tecnologie. Se il Fondo Nuove Competenze (rifinanziato) va a vantaggio soprattutto dei lavoratori delle grandi aziende, esistono altri strumenti come i fondi interprofessionali, per aiutare anche le piccole imprese ad aumentare la propria competitività con l’investimento in risorse umane.
Sono tutte misure queste che ruotano intorno alle aziende e sono dunque utili a chi è già occupato o è uscito da poco dal mercato del lavoro. Quali soluzioni ci sono invece per chi un lavoro non ce l’ha da molto tempo o non lo ha mai avuto? Si tratta di fasce di lavoratori deboli, tra le quali innanzitutto i giovani, che non sono supportati da un sistema scolastico in grado di prepararli alle esigenze del mercato. Con loro, ad avere la peggio, le donne ancora sfavorite dalla difficoltà di conciliare esigenze familiari e professionali e che spesso provano a rientrare in età avanzata nel mondo del lavoro, dopo anni di inattività.
Come fare? “Chi fa da sé fa per tre”: se non trovi lavoro, l’azienda per lavorare puoi creartela da solo! Lo Stato Italiano incoraggia in tanti modi coloro i quali vogliono mettersi in proprio, creando una propria attività, con incentivi economici. Prima gli stimoli erano solo finanziari adesso sono anche “didattici”, perché per aprire un’impresa oltre ad avere un capitale adeguato bisogna essere preparati; almeno se la si vuole far durare nel tempo. In passato la formazione e la consulenza (gratuite) per aspiranti imprenditori erano rivolte solo ai NEET, giovani senza lavoro, usciti dal sistema scolastico e con meno di 30 anni. Oggi invece possono accedere a questa possibilità, senza limiti di età, tutte le donne inattive così come i disoccupati di lungo corso. E i settori dove poter esplodere la propria creatività ed intraprendenza sono tanti come nel comparto della green economy o dello slow tourism.
Lo scorso sabato abbiamo approfondito l’argomento con Luca Iovine e Raoul nella rubrica “Economia per tutti”.