Intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, Achille Lauro mette a nudo il suo lato più personale, tra ferite del passato, scelte di vita radicali e un presente scandito dal lavoro senza sosta.
Il cantautore romano torna al centro dell’attenzione grazie al successo di Incoscienti giovani, diventata «la seconda canzone più ascoltata del 2025», come sottolinea lui stesso. Un brano che a Sanremo non ha conquistato il podio, ma che per Lauro ha avuto comunque il sapore di una consacrazione: «Non importa. Alla fine è un po’ come se l’avessi vinto».
Una canzone autobiografica
Il cuore dell’intervista ruota intorno al significato più profondo di Incoscienti giovani. Lauro racconta la nascita del brano: «Mi sono messo al pianoforte, da solo, nella mia casa di Milano, e l’attacco mi è venuto subito: oh, bambina…». La “bambina” evocata nel testo rappresenta «un mio antico amore», ma anche una parte di sé: «È una canzone molto autobiografica. Io le canzoni le vesto, le vivo, le rubo dalla realtà. Non mi invento niente».
Anche i versi più intimi, come quelli dedicati al padre, affondano le radici nella sua storia personale. «La famiglia a un certo punto si è divisa. Sono emozioni forti, quelle che ho passato», confida, spiegando però di aver ritrovato col tempo un equilibrio fatto di comprensione e perdono.
L’amore e la scelta di restare solo
Nel dialogo con Cazzullo emerge una visione dell’amore intensa ma prudente. Lauro non rinnega il desiderio di una famiglia numerosa, ma oggi preferisce la solitudine: «Preferisco restare solo piuttosto che tradire. In questo momento non sono predisposto a una relazione importante». Una decisione maturata nella consapevolezza che «una relazione presuppone un dovere» e che l’amore, pur essendo centrale, «può distruggerti, e può distruggere».
L’adolescenza in periferia
Il racconto torna poi agli anni più duri, quelli della fuga di casa e della vita in una comune nella periferia romana. «Sono andato via di casa a quindici anni… Fare a botte era il minimo», ricorda, descrivendo un contesto fatto di violenza, marginalità e amicizie segnate da percorsi difficili. Esperienze che oggi lo spingono a guardare con altri occhi le periferie: «Voglio combattere con loro e per loro, li voglio aiutare». Da qui la nascita del progetto di una fondazione dedicata al sostegno dei ragazzi fragili.
Tra fede, destino e responsabilità
Lauro parla anche di spiritualità e destino, raccontando di credere che «nulla accada per caso» e che ogni incontro abbia un senso preciso. Alla domanda su cosa significhi per lui essere cristiano, risponde legando la fede al prendersi cura degli altri, ricordando l’esempio di una madre che ha sempre aperto la propria casa a giovani in difficoltà.
Una vita “alienante”
Oggi la sua quotidianità è dominata dal lavoro. «Mi sento benedetto, e nello stesso tempo ho una vita alienante», ammette. Viaggia tra Stati Uniti e Giappone, lavora «venti ore al giorno» e dorme «al massimo quattro ore per notte». Una routine che renderà ancora più impegnativo il 2026, l’anno degli stadi: Olimpico, San Siro e Rimini lo attendono, con un tour che porterà Lauro a cantare per circa quattrocentomila persone.
Nel panorama ristretto degli artisti capaci di riempire gli stadi, Lauro guarda con interesse ai colleghi: di Ultimo dice «è un nerd come me», mentre per Vasco Rossi parla di «grande stima» e di un repertorio capace di attraversare generazioni.
Mondi da creare
L’intervista si chiude sul suo modo di intendere la musica e il rischio. Lauro rivendica la scelta di prodursi da solo e di costruire ogni aspetto del proprio progetto artistico, ricordando come alcune scommesse — da Sanremo 2020 all’Eurovision — siano state determinanti per il suo percorso, anche quando si sono rivelate difficili.
Tra successi, cadute e rinascite, resta una visione limpida: la musica come riflesso diretto della propria vita, e una promessa, più volte ribadita, di non dimenticare mai da dove è partito e chi oggi ha bisogno di una mano per rialzarsi.
