Stefano Zurlo, giornalista investigativo, è stato ospite con Lucilla in Stasera… che serie! parlando della docuserie del momento Wanna e di progetti futuri.
Stefano Zurlo è in collegamento con noi, buongiorno!
«Buongiorno a voi!»
Sei protagonista di tantissimi consensi del pubblico perché hai partecipato alla creazione e realizzazione della serie “Wanna”. La prima cosa che ti chiedo è: come mai ti sei interessato proprio alla storia di Wanna Marchi nella raccolta di tutto questo materiale e soprattutto, c’è qualcosa che avete dovuto scartare?
«Mi sono interessato a Wanna perché in realtà è un vecchio amore. Ho seguito la sua storia a lungo, non quando esplose, ma negli anni successivi. È una storia interminabile, lunghissima, che si è portata dietro un processo lunghissimo, con un sacco di vittime che hanno sfilato al tribunale di Milano; all’epoca facevo molta cronaca giudiziaria. Poi da cosa nasce cosa, mi ero reso conto che le vittime avevano delle storie che mi portavano in giro per l’Italia, storie che mi hanno fatto conoscere la “pancia profonda” dell’Italia, la provincia, persone magari con villetta e giardino che avevano svuotato il conto del padre, del marito, dei figli, e pure della madre novantenne con i soldi sotto il materasso. Sono ero andato a Ozzano a vedere il miracolo Wanna Marchi dalle sue origini, che non era un garage come a tutti piace dire, perché sembra che il successo debba per forza partire da un garage, come Steve Jobs e compagnia. Wanna Marchi partì da una vetrina a Ozzano dell’Emilia, vendendo creme e alghe, perché al tempo era un estetista; lei mandò in crisi l’ufficio postale di Ozzano che aveva dovuto chiedere rinforzi ad altri uffici postali vicini per spedire i prodotti in giro per l’Italia. Poi, insomma, l’incrocio tra superstizioni, paure, fragilità umane, la corsa al benessere, dato che Wanna Marchi iniziò cominciò tra gli anni ’70 e ’80 col mondo pioneristico delle tv libere. Tanti fenomeni che si erano incrociati, di cui abbiamo riannodato i fili. Più che scartare, abbiamo cercato, c’è una marea di gente intervistata. Qualcuno che mi è sfuggito l’ho poi riacciuffato e altri no. Ho tenuto i rapporti con il mitico mago Do Nascimento, che ero andato a trovare a Bahia, e mi ha detto che lavorava per Lula. Diceva che attaccava i manifesti per lui però, lavorava per lui in senso un po’ figurato. Quindi non mi aveva più risposto. Insomma, ci sono state tante vicende. Io ho fatto la mia parte, in cui ho raccontato e tenuto insieme i fili. Non è solo un fatto di cronaca giudiziaria, ma è tante cose insieme.»
A proposito di questo, secondo te Wanna nel mondo di oggi, con la consapevolezza data anche dai social, attecchirebbe secondo te?
«In teoria ti direi di no, la gente è troppo scafata e furba, ci sono i social che vent’anni fa ovviamente non esistevano. Però se vai a vedere, ti direi di sì, perché ogni epoca si adegua, e i maghi, i fattucchieri, i cartomanti (nel senso deteriore della parola, non voglio attaccare la categoria) trovano altre modalità e altri strumenti. Quindi oggi la truffa è su Instagram, ti venderanno un decotto magari su Twitter o su Telegram, non si sa come faranno ma ci riescono. Giustamente dicono: è possibile che questa truffava alla luce del sole in televisione? Esattamente, truffava alla luce del sole in televisione. Bastava accendere la tv e vedevi queste sceneggiate, i telefonisti che chiamavano. Addirittura nel libro che ho scritto, Ascesa e caduta di Wanna, racconto che mentre al primo piano i centralinisti chiamavano le migliaia di vittime con una tecnica collaudata che era “ti faccio parlare un po’, ti faccio dire qualcosa di te e la volta dopo faccio finta di sapere un sacco di cose su di te che in realtà mi avevi già detto la telefonata precedente”, mentre al piano terra c’era la solita verifica della Guardia di Finanza che verificava le fatture una ad una. Al piano terra c’era la finanza e al primo piano la truffa che andava avanti. Il tutto passando ovviamente per la televisione. Questo è andato avanti per anni e ha coinvolto migliaia e migliaia di persone. Nelle stime che io do, che sono abbastanza approssimative ma confermate dalla Guardia di Finanza, si parla di 60 miliardi di lire di fatturato in cinque anni.»
C’è un’altra storia che racconteresti tra quelle di cui ti sei occupato? O una di cui ti sei già occupato di cui già è stato realizzato qualcosa?
«A volte si crea quest’alchimia e capisci che il personaggio è quello giusto. Nel passato, qualcuno se lo ricorderà e mi sorprese il suo successo, avevo seguito l’arresto di un criminale il 13 febbraio 1992, quindi prima di Wanna Marchi e pochi giorni prima della cattura di Mario Chiesa che fece esplodere Mani Pulite. Si tratta dell’arresto di Daniele Barillà, un piccolo artigiano dell’hinterland milanese che decide di andare a comprare il cibo per il cane. Esce di casa alle cinque del pomeriggio, si mette sulla tangenziale, era la vigilia di San Valentino, pioveva e c’era ormai buio, e ha la sfortuna con la S maiuscola di trovarsi in mezzo a un pedinamento che i carabinieri facevano nei confronti di un gruppo di trafficanti di droga. Succede che allo svincolo di Cormano, un’auto con a bordo un boss esce dalla strada e lui si immette nella colonna, entrando nel corteo delle auto pedinate, studiato dal mitico Ultimo. Barillà si trova con un’auto che incredibilmente è identica all’altra, lo abbiamo raccontato nella miniserie L’Uomo Sbagliato. La storia è durata 10 anni. Lui durante il processo tace molto, e viene scritto a verbale che il suo silenzio è quello tipico del boss che non ammette le proprie colpe. In realtà pochi giorni dopo l’arresto si era capito che era un errore grossolano. Però aveva l’auto simile, il numero di targa con tre cifre uguali incredibilmente. Una sfortuna pazzesca, ma tutti si chiedevano cosa c’entrasse lui. Non c’erano tabulati, non c’erano prove, anzi, quando alcuni anni dopo ho iniziato a seguire la storia, arrivavano verbali di pentiti che dicevano, sintetizzando: “un cretino è finito in galera al posto del boss”. Finché alla fine furono arrestati alcuni dei carabinieri che lo avevano arrestato, che acceleravano il processo per portare a casa encomi e promozioni. A quel punto, la procura di Genova riapre il caso. Avevo premuto molto, avevo addirittura intervistato Borrelli, il potente procuratore di Milano che disse che anche secondo lui questo signore era innocente.»
Lui intanto stava in carcere però.
«Non solo stava in galera, ma con condanna definitiva pesantissima confermata dalla Cassazione. Lui continuava a dire ” sono innocente, un giorno faranno un film e un libro sui di me”. Così è stato. Alla fine è stato scagionato, gli avevano dato un risarcimento di oltre due milioni di euro, ma nel frattempo si è fatto più di otto anni di carcere. Abbiamo creato questa storia con Beppe Fiorello. Molti forse l’avranno vita, era uscita nel 2005-2006.»
Stefano grazie mille di essere stato con noi!
«Grazie a voi!»