Alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Valeria Bruni Tedeschi ha presentato “Duse”, il film diretto da Pietro Marcello in cui interpreta la leggendaria attrice Eleonora Duse. La pellicola ha ricevuto un’accoglienza calorosa, con 11 minuti di applausi da parte del pubblico presente in sala.
L’approccio al personaggio di Eleonora Duse
In conferenza stampa, Valeria Bruni Tedeschi ha condiviso il suo metodo per avvicinarsi al personaggio di Eleonora Duse. Ha raccontato di aver immaginato la Duse come una cara amica, cercando una connessione intima piuttosto che una semplice imitazione. L’attrice ha spiegato: “Ho chiesto a Eleonora di accompagnarmi, di starmi vicina, di volermi bene. È un lavoro che faccio spesso con i morti. Ho chiamato anche la mia coach, scomparsa quindici anni fa. Ho avuto bisogno del loro aiuto. Organizzavo delle riunioni nella mia stanza con lei. Non volevo imitarla, ma diventare sua amica, trovare una connessione intima. Lei piangeva, io piango. In un mondo che celebra solo i vincenti, mi sembrava importante raccontare la sua fragilità”.
Il lavoro sul metodo Strasberg e le fonti di ispirazione
Per prepararsi al ruolo, Bruni Tedeschi ha approfondito il metodo Strasberg, ricordando gli insegnamenti della sua coach Geraldine, che parlava spesso della Duse. Ha sottolineato come all’Actor Studio ci sia una grande foto dell’attrice italiana, simbolo della ricerca della verità nell’interpretazione. L’attrice ha lavorato leggendo l’autobiografia di William Weaver e le lettere che Eleonora Duse scrisse alla figlia Enrichetta, considerate un tesoro di scrittura. Ha evidenziato l’amore profondo della Duse per la figlia, nonostante le difficoltà nell’esprimerlo.
Paralleli tra la vita di Bruni Tedeschi e quella della Duse
Valeria Bruni Tedeschi ha trovato molte affinità con Eleonora Duse, soprattutto nella dedizione al lavoro e nella ricerca di miglioramento umano. Ha dichiarato: “Per tante cose mi sento spiritualmente familiare a lei. Per me il lavoro è ossigeno, adoro la possibilità di fare film e di scrivere. Lo stesso era per lei. Non era una star e anche io non mi sento tale. Per lei la cosa più importante di tutte era migliorarsi umanamente. Lei aveva la tubercolosi, ma per lei c’era più ossigeno sul palco che in una casa di cura in campagna. Mi tocca molto la sua umanità e il suo voler essere attenta alla fragilità degli altri”.