Catherine Spaak è stata una delle figure più emblematiche del panorama artistico italiano del secondo Novecento. Nata a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945, e scomparsa il 17 aprile 2022 a Roma, la sua vita è stata un mosaico complesso di talento, determinazione, trasformazioni personali e pubbliche. Attrice, cantante, conduttrice, scrittrice: Catherine è stata molto più che un volto noto dello spettacolo. È stata una donna capace di ridefinire il ruolo femminile nella cultura italiana, lasciando un’impronta ancora viva oggi.
Gli esordi: la recitazione come eredità e vocazione
Catherine era figlia d’arte. Suo padre Charles Spaak fu un celebre sceneggiatore belga, collaboratore di registi del calibro di Jean Renoir e Julien Duvivier. Sua madre, Claudie Clèves, era un’attrice francese. Un ambiente creativo, colto, dove il cinema non era solo intrattenimento ma linguaggio d’arte e riflessione sociale. Dopo un’infanzia difficile segnata dalla separazione dei genitori, Catherine si trasferì in Italia all’inizio degli anni Sessanta. Aveva appena 15 anni quando ottenne il suo primo ruolo da protagonista in Dolci inganni (1960) di Alberto Lattuada. Da quel momento, divenne in breve tempo l’icona della ragazza moderna del boom economico italiano. Era il volto di una nuova femminilità: emancipata, sensuale, intelligente. Diversa dalle donne angelicate del neorealismo o dalle vamp hollywoodiane. Con lei nacque un nuovo immaginario femminile.
Il successo negli anni ’60 e ’70
Negli anni Sessanta Catherine Spaak divenne una vera e propria star. Interpretò film memorabili come Il sorpasso (1962) di Dino Risi, accanto a Vittorio Gassman, un capolavoro del cinema italiano in cui incarnava perfettamente la giovinezza inquieta e disillusa di quegli anni. Seguono La noia (1963), tratto da Moravia, e La calda vita (1963) di Florestano Vancini. La sua recitazione naturale, quasi introspettiva, colpì anche registi come Antonio Pietrangeli, Mario Monicelli e Luigi Comencini. Parallelamente alla carriera d’attrice, Spaak intraprese anche una breve ma significativa carriera musicale. Con la sua voce sussurrata e uno stile vicino alla chanson française, pubblicò alcuni album che riscossero un buon successo, tra cui L’esercito del surf e Tu sei quello. Il suo modo di cantare influenzò molte interpreti italiane successive, come Nada e Alice. Negli anni ’70 la sua figura cambiò. Meno presente sul grande schermo, iniziò a cercare ruoli più maturi, meno legati all’immagine della “lolita italiana” che le era stata cucita addosso. Anche se questo comportò un allontanamento dai riflettori, fu una scelta consapevole, dettata da una forte esigenza di autenticità.
Dalla TV all’impegno personale: una seconda carriera
Negli anni Ottanta e Novanta Spaak trovò una nuova dimensione nella televisione. Dal 1985 al 2002 fu la storica conduttrice di Harem, talk show su Rai 3 dedicato alle donne, che per primo in Italia diede voce a temi spesso taciuti o considerati tabù: il corpo, la maternità, la sessualità, la spiritualità, le relazioni interpersonali. Il suo stile di conduzione, elegante e diretto, aprì la strada a una televisione più riflessiva, meno urlata. Nel frattempo, scrisse anche alcuni libri autobiografici in cui raccontò le sue fragilità, le sue rinascite, le sue crisi interiori. Fu una voce lucida e rara nel panorama dello spettacolo, capace di interrogarsi e mettersi in discussione.
Relazioni e vita privata
Catherine Spaak ebbe una vita sentimentale complessa, talvolta sotto i riflettori, talvolta vissuta con grande discrezione. Si sposò quattro volte: la prima con l’attore Fabrizio Capucci, da cui ebbe una figlia, Sabrina. Poi con Johnny Dorelli, con il quale condivise anni di notorietà e successi, ma anche tensioni e incomprensioni. Seguirono i matrimoni con l’architetto Daniel Rey e infine con Vladimiro Tuselli, comandante di nave mercantile. Non fece mai mistero di aver sofferto, di aver attraversato momenti di difficoltà, sia affettiva che psicologica. Parlò apertamente dei suoi attacchi di panico, della crisi spirituale che l’aveva portata a cercare conforto nel buddismo, della sua decisione di abbandonare a tratti la vita mondana per ritrovare sé stessa.
L’ultimo tratto del viaggio
Negli ultimi anni Catherine si era ritirata progressivamente dalla scena pubblica, anche a causa di problemi di salute. Nel 2020 aveva avuto un’emorragia cerebrale da cui si era ripresa con fatica. Nonostante ciò, continuava a partecipare a incontri culturali, mostre, iniziative sociali. Il suo ultimo ruolo sul grande schermo è stato in La vacanza (2019) di Enrico Iannaccone, film delicato e intimo che sembra un testamento spirituale. Morì a Roma, il 17 aprile 2022, all’età di 77 anni, lasciando dietro di sé non solo una filmografia vasta e significativa, ma soprattutto un’eredità culturale fatta di libertà, coraggio e coerenza.
Un’eredità di stile e pensiero
Catherine Spaak non fu solo una musa del cinema italiano o una conduttrice raffinata. Fu un simbolo dell’emancipazione femminile, un’artista che seppe reinventarsi, una donna capace di sfidare le etichette e le aspettative. Ha lasciato un segno indelebile nel cuore di chi ha vissuto gli anni del suo splendore, ma anche nei giovani che oggi, attraverso le piattaforme digitali, riscoprono i suoi film e il suo pensiero. In un’epoca in cui spesso si confonde popolarità con profondità, la sua figura ci ricorda che essere un’artista – e una donna libera – è prima di tutto un atto di responsabilità. Un viaggio, appunto, fatto di scelte, conquiste, perdite e verità.