La quinta stagione di Stranger Things è finalmente arrivata, e con essa, una nuova ondata di nostalgia che ci riporta indietro, non solo negli anni ’80, ma anche a quel periodo in cui il cinema era più di una semplice passione: era un rito di passaggio, un punto di riferimento, una forma di pedagogia dell’avventura. La serie di Netflix ha sempre omaggiato l’estetica di quegli anni, ma nella sua ultima stagione, questo omaggio si trasforma in un riconoscimento emotivo più profondo. Non è più solo una rivisitazione estetica, ma un vero e proprio abbraccio generazionale che risuona con chi ha vissuto quel decennio e che guarda Stranger Things con lo stesso entusiasmo di chi, allora, si perdeva tra cassette VHS, biciclette e film che ci insegnavano a guardare il mondo attraverso l’avventura.
Una generazione che ha vissuto la magia del cinema
Quella che ci racconta Stranger Things non è solo una storia di mostri, misteri e dimensioni parallele. È anche una narrazione di un’epoca, di un’era cinematografica che ha formato una generazione intera. La serie si collega profondamente a un cinema che non solo si vedeva, ma si viveva, si sentiva e si toccava. Negli anni ’80, con l’arrivo del VHS, il cinema divenne tangibile, fisico. Non era più solo un’esperienza evanescente legata alla sala cinematografica, ma un oggetto che poteva essere collezionato, fermato, rewindato. Le cassette VHS diventavano una sorta di archivio personale, un posto dove custodire la memoria di quel cinema che raccontava storie di amicizia, di mostri da sconfiggere e di futuri distopici.
Nel 1986, quando mi regalarono la mia prima videoregistratrice, fu come entrare in un mondo dove il tempo poteva essere fermato. La possibilità di riprendere in mano un film, fermarlo, rivederlo e rivivere le emozioni era una sensazione unica. Stranger Things riprende e amplifica questa sensazione, restituendo al pubblico il piacere di entrare in un mondo che è allo stesso tempo familiare e misterioso, dove ogni scena porta con sé un eco di quei film che hanno segnato la nostra giovinezza.
La quinta stagione e il ritorno del cinema degli anni ’80
Nella quinta stagione, Stranger Things non fa solo riferimento ai film di quegli anni: li rievoca in modo vivido, tangibile, come se fossero parte della trama stessa. Iniziano a comparire i volti di personaggi che richiamano istantaneamente i cult del passato, come Linda Hamilton, la Sarah Connor di Terminator (1984), che ci porta direttamente in quell’era dove il futuro era una minaccia meccanica, fatta di metallo e destino. Ma non si tratta solo di citazioni; è come se il cinema degli anni ’80 permeasse il modo stesso di raccontare la storia: la struttura narrativa, i ritmi, i paesaggi sonori e visivi.
C’è una continua oscillazione tra presente e passato, tra Volver al Futuro (1985), con il suo DeLorean e le sue parabole temporali, e i nuovi eventi che si svolgono nel cuore di Hawkins. I rimandi a Gremlins (1984) e I Goonies (1985) sono evidenti, con il gruppo di giovani protagonisti che ricorda quella miscela di amicizia, pericolo e avventura che caratterizzava i film per ragazzi degli anni ’80.
Il ritorno della bicicletta come simbolo di libertà
Un altro elemento che Stranger Things riscopre e rielabora è il tema della bicicletta. Nella serie, così come in E.T. l’extra-terrestre (1982) o I bicivolatori (1983), la bicicletta diventa un simbolo di libertà, una nave che permette di attraversare non solo la città, ma anche le dimensioni. Pedalare insieme in gruppo diventa un atto di fuga, ma anche di unione, un modo per attraversare il confine tra l’infanzia e l’adolescenza, tra il mondo adulto e quello infantile. È il mezzo attraverso il quale i ragazzi si ribellano al mondo degli adulti, cercando di scoprire ciò che si cela al di là del loro orizzonte. Questo senso di “mobilità” e di possibilità di trasgredire i confini è un altro omaggio alla generazione che, negli anni ’80, viveva la libertà di un mondo senza troppi legami.
Il cinema degli anni ’80 come rifugio
Il cinema degli anni ’80 ci insegnò a sognare, ma anche a rifugiarci in un mondo dove il bene trionfava sempre, dove la forza dell’amicizia era più potente di qualunque nemico e dove, nonostante la Guerra Fredda e le tensioni internazionali, il futuro sembrava un territorio esplorabile. Le pellicole degli anni ’80 parlavano di mostri e di distopie, ma anche di solidarietà, di crescita, di valori che ancora oggi sono radicati in noi.
In Jaws (1975), che fu un rito di visione durante gli anni ’80, imparavamo a temere ciò che non si vedeva, mentre in Venerdì 13 (1980) capivamo che il terrore poteva essere costruito con pochissimi mezzi e molta immaginazione. Ma c’era anche Cocoon (1985), dove si mescolavano le generazioni, e Gremlins (1984), che ci insegnava a fare i conti con il caos e l’inaspettato. Tutti questi film ci facevano sentire che, nonostante tutto, il mondo era un luogo di opportunità, di sfide e di speranza.
Perché amiamo il cinema degli anni ’80?
Forse amiamo il cinema degli anni ’80 perché, dietro le sue storie di avventura e mostri, c’era una visione del mondo che non abbiamo mai smesso di apprezzare: una visione che celebrava l’amicizia, la famiglia e la speranza, in un’epoca che si trovava a fare i conti con le sfide politiche e sociali globali. Stranger Things è il ponte tra quel mondo e il nostro, un abbraccio generazionale che, senza bisogno di viaggiare nel tempo, ci riporta a casa. Ecco perché Stranger Things è più che una semplice serie: è un tributo vivo e pulsante a un’epoca che continua a vivere dentro di noi.
