A pochi mesi dal traguardo dei 90 anni, Mogol – al secolo Giulio Rapetti – decide di raccontare la propria vita e la lunga carriera che ha cambiato la musica italiana. Lo fa nel libro Senza Paura. La mia vita, in uscita il 14 ottobre per Salani editore, e in un’intervista al Corriere della Sera dove ripercorre i suoi inizi, l’amicizia con Lucio Battisti, la loro rottura e le accuse di fascismo che per anni hanno accompagnato entrambi.
Dalla Ricordi al successo con Battisti
Figlio di un dirigente della casa discografica Ricordi, Mogol iniziò la sua carriera come ragioniere, ma presto la sua passione per le parole e la musica prese il sopravvento. Entrò nella Radio Record Ricordi, la sezione “pop” di un’azienda allora concentrata sulla musica classica, e in pochi anni contribuì a trasformarla in un punto di riferimento per la nuova canzone italiana. Fu lì che scoprì e lanciò artisti come Giorgio Gaber e Adriano Celentano, prima di incontrare Lucio Battisti, l’uomo destinato a cambiare la sua vita artistica.
Nonostante avesse già firmato successi per molti interpreti, fu con Battisti che nacque un sodalizio irripetibile. Insieme scrissero alcuni dei brani più iconici della musica leggera, da Mi ritorni in mente a Il mio canto libero, dando voce a un’intera generazione.
“Battisti non era tirchio”
Nell’intervista, Mogol approfitta anche per smentire alcune leggende attorno all’amico e collaboratore, come quella del presunto tirchieria di Battisti. A sostegno, racconta due episodi emblematici: il rifiuto di un tour internazionale offerto da Paul McCartney e dal suo staff, perché non avrebbe garantito a Lucio piena libertà artistica, e l’offerta milionaria di Gianni Agnelli per un concerto al Teatro Regio di Torino.
“Offriva due miliardi, eventualmente anche su conto estero. Lucio li rifiutò e rifiutò anche di parlare personalmente con Agnelli, che voleva convincerlo”, racconta Mogol, sottolineando la coerenza e l’integrità dell’amico.
La separazione e le questioni economiche
La collaborazione tra i due si interruppe nel 1980, con Una giornata uggiosa, ultimo album firmato insieme. Poi Battisti pubblicò E già e gli album “bianchi”, segnando una svolta radicale.
“Non ci fu nessun litigio”, precisa Mogol. “Fu tutto una questione di principio, legata alla ripartizione delle quote azionarie di una nuova società. Dovevano essere al 50%, Lucio accettò ma poi fece marcia indietro. Non so se avesse parlato con qualcuno che l’aveva consigliato diversamente”.
L’autore non vuole pensare che dietro quella decisione ci fosse l’influenza della moglie di Battisti, Grazia Letizia Veronese, anche se in seguito tra i due ci fu una causa legata alla gestione della società editoriale Acqua Azzurra.
“Non eravamo fascisti”
Mogol affronta anche uno dei temi più controversi: le accuse politiche rivolte a lui e a Battisti.
“Chi non era schierato era ritenuto fascista. Il silenzio era considerato assenso”, spiega.
Ricorda come, negli anni Settanta, anche artisti apertamente progressisti come Francesco De Gregori e Fabrizio De André subirono contestazioni.
“Insinuarono che Lucio finanziasse Ordine Nuovo, e che le braccia alzate nella copertina di La collina dei ciliegi fossero saluti romani, mentre per noi quelle braccia tese al cielo avevano un senso mistico.”
Per Mogol, a Battisti interessava solo la musica. Lui stesso si definisce invece appartenente “a una cultura socialista e pacifista”.