Un metro e cinquantasei d’altezza, ma «per lui la vera unità di misura era il cervello». Così Maurizio Lauzi descrive suo padre Bruno in un’intervista al Corriere della Sera: un «gigante in miniatura», nato ad Asmara l’8 agosto 1937, lo stesso giorno di Dustin Hoffman. Ironico fino alla fine, amava scherzare persino sul Parkinson: «In foto vengo mosso», diceva, alludendo al tremore della malattia.
Un anticonformista controcorrente
Bruno Lauzi non prese mai la patente – «alle ragazze rispondeva: vengo col 41», ricorda il figlio – e non si curava del look. In tv si presentava con cardigan improbabili, senza preoccuparsi dell’aspetto. Schietto e diretto, si definiva «anarchico alla Camus» e cantava di essere «l’unico ad andare contromano».
La sua amicizia più vera fu con Luigi Tenco, di cui percepiva la fragilità: «andava in giro con la pistola e diceva che prima o poi l’avrebbe usata». Ma soprattutto Lauzi ha lasciato canzoni diventate patrimonio della musica italiana: Ritornerai, Il poeta, Onda su onda, Genova per noi. Molti brani celebri portano la sua firma, da Piccolo uomo a Almeno tu nell’universo per Mia Martini, che per Maurizio resta il rapporto artistico più gratificante di suo padre.
Successi, passioni e rimpianti
Ispirato dal jazz, dai musical anni ’40, dal Brasile e dalla chanson francese (traduce Moustaki e Hallyday), stimava Vecchioni, Guccini e Bertoli, mentre vedeva in Ruggeri il suo erede naturale. Pur poco considerato dal mercato discografico, il pubblico lo amava: «non vendeva dischi, ma riempiva le piazze», ricorda Maurizio, «tra i suoi estimatori c’era persino García Márquez».
Fu un padre presente, amante dei funghi e dei gialli di Simenon, Pennac e Rex Stout. Con la moglie Giovanna produsse anche un vino, La Celesta, apprezzato da Veronelli. Restano alcuni rimpianti: il rifiuto di una parte in 8½ di Fellini per seguire Mina in tour, e la mancata occasione di vedere Maurice Chevalier dal vivo.
Il segreto di Bruno
Molti ricordi di Lauzi sono ora custoditi nel nascente Museo dei Cantautori di Genova: lettere, cravatte, una chitarra. E soprattutto un bastone nero con impugnatura in ottone a forma di cane che, svitato, nascondeva un portasigari con dentro peperoncino calabrese in polvere. «Così non doveva chiederlo mai a nessuno», racconta Maurizio.