In occasione della presentazione della serie Portobello di Marco Bellocchio, dedicata a Enzo Tortora, la figlia minore del celebre conduttore televisivo, Gaia Tortora, oggi vicedirettrice del Tg La7, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero in cui ha condiviso ricordi personali e riflessioni toccanti.
La giornalista, 56 anni, autrice del libro Testa alta, e avanti (Mondadori, 2018), ha seguito con emozione la ricostruzione televisiva della vicenda che travolse suo padre. «Già dalle prime puntate ho apprezzato il grande lavoro fatto da Bellocchio e dagli attori, in particolare da Fabrizio Gifuni. È una serie coraggiosa, perché riproduce la follia che ci venne rovesciata addosso da “quella” magistratura e dai colleghi che infangarono mio padre. Lui li definiva “dei Pulcinella”: la scena con la maschera napoletana mi ha commossa», racconta.
Sul ricordo del 17 giugno 1983, giorno dell’arresto del padre, Gaia confessa: «Avevo 14 anni, stavo facendo l’esame di terza media. Mi esaminarono per prima per proteggermi, ma appena tornata a casa vidi le immagini di papà in manette. Fu un trauma così forte da togliermi la parola».
Rivivendo quel periodo, non nasconde l’amarezza: «Non si è trattato di malagiustizia, ma di giustizia con dolo, aggravato dall’invidia di molti colleghi giornalisti. Gli stessi direttori che convalidarono quelle infamie. Oggi come allora l’odio sociale è presente: se i social fossero esistiti, non so se avrei retto».
Tortora sottolinea anche la forza con cui Enzo resistette: «Non si tolse la vita solo per noi figlie e grazie ai compagni di cella. Diceva sempre che in carcere aveva trovato più umanità che fuori».
Infine, lancia un messaggio ai giovani: «La serie può insegnare l’importanza del dubbio, che è ciò che ti salva. Ho fiducia nelle nuove generazioni».
