Cesare Cremonini: “Le canzoni sono delle forze che ti trascinano in luoghi che non stai scegliendo tu”

Nella puntata di oggi di Good Morning Kiss Kiss Max Giannini e Max Vitale hanno avuto il piacere di ospitare Cesare Cremonini per parlare con lui del nuovo album Alaska Baby.

Diamo il bentornato a Napoli a Cesare Cremonini!

Buongiorno. Sono felice di essere qui con voi.

Partiamo subito dalla copertina dell’album perché ormai è tutto streaming e meno materiale. Il logo ho scoperto che è legato ad un posto fantastico.

Si, è un’opera d’arte, ma è anche una visione che diventa personale perché queste due sfere immerse nel bianco rappresentano quello che ho provato realizzando questo disco. Cioè trovarmi nella condizione di credere nella condivisione, sia del progetto, ma anche nella mia vita privata, di credere nell’amore e in certi sentimenti. Erano stati un po’ oscurati forse da ciò che ti capita nella vita. Il bianco della copertina è la neve dell’Alaska, il luogo nel quale sono andato a cercare ispirazione.

Ci teniamo a sottolineare che tu non fai canzoni, ma opere. Ed è giusto sottolinearlo.

In alcuni casi le canzoni sono delle forze che ti trascinano in luoghi che non stai scegliendo tu. Non sono delle opere di design. Sono delle scoperte dentro di te che si trasformano in musica. Sono flussi di coscienza e quando succede non puoi fare altro che seguire e andare nel luogo in cui loro ti portano. È un processo creativo che auguro a chiunque ami scrivere canzoni, anche se è molto più doloroso.

Ragazze Facili sembra essere la chiave di volta di quest’album.

In ogni disco c’è una chiave di volta poiché un album è come un grande puzzle e tu inizi a comporlo, scoprendo delle figure che non sono sempre il centro del disco. Poi ad un certo punto arriva quella canzone che capisci che è il volto. E dopo è pure più facile costruire anche la cornice. È come fare una pizza. Ad un certo punto la inforni e capisci perfettamente qual è il contorno dove metti gli ingredienti.

Questo percorso ha però tutta una genesi. Abbiamo visto il documentario Alaska Baby sul viaggio dell’album che è durato tanto.

Il viaggio che mi ha portato a scrivere questo disco è stata una necessità perché per fare un disco oggi bisogna tirare fuori delle energie particolari. Viviamo un tempo di dischi d’esordio. È un mondo di esordienti e nuove generazioni che stanno conquistando le classifiche. Le stesse piattaforme appoggiano e sostengono gli artisti delle nuove generazioni e quindi essere un’artista degli anni Novanta con 25 anni di carriera impone un giudizio abbastanza severo su quello che devi fare perché ti specchia in un mondo che ha un’energia di fuoco in questo momento. Per fare il disco sapevo che avrei dovuto trovare l’energia del disco d’esordio anch’io. E quindi mi sono messo in discussione per creare un voltapagina della mia vita che mi creasse una zona non di comfort in cui tirare fuori delle abilità maggiori.

Però sei andato a prendere tutta questa forza musicale nella culla della musica. Memphis, Seattle…

Sono partito da un luogo profondo, però ho girato l’America per un mese e mezzo da solo senza sapere bene cosa stavo cercando. Ho iniziato a seguire delle allucinazioni, perché quando sei in America o in questi viaggi on the road ad un certo punto ti perdi ed iniziano a riaffiorare i ricordi. Ti attacchi alle cose che senti e l’origine della musica esplorata attraverso la strada verso Seattle è diventata ciò che mi faceva compagnia. La compagnia che cerchi nelle cose che ti capitano. Dopo sono andato in Alaska e lì è cominciato un altro viaggio perché non c’era più niente da vedere ed era tutto bianco. E allora è quel momento dove, non avendo più nulla sotto i piedi, guardi verso il cielo.

Qualche aurora boreale l’avrai vista…

I colori della copertina del disco sono i colori che ho visto nelle aurore boreali in Alaska. È un’esperienza davvero fantastica perché coinvolge tutta la sfera celeste. È un’emozione che ti fa esplodere una gioia e una meraviglia che è inedita. Ho assimilato quell’esperienza come simbolo di una mia rinascita e della fine di un percorso molto lungo che ho fatto fisicamente per arrivare lì.

Di questa esperienza hai scritto sicuramente qualcosa…

C’è una canzone che abbiamo scritto io ed Elisa. Lei mi ha mandato una prima parte quando ero in Alaska. Mi ha mandato un messaggio con una demo di una canzone che ho completato lì davanti al camino il giorno dopo. Poi quando sono tornato a Bologna l’abbiamo finita insieme e si chiama appunto Aurore boreali.

Prima a microfoni spenti parlavamo di Davide Petrella, Elisa e Mike Garson…

E poi Luca Carboni. Ci sono stati degli incontri che si sono trasformati in veri amori personali ed artistici. Quello con Davide Petrella è un amore di lunga data. Siamo abbastanza monogami. Perché è una figura artistica e umana importantissima nella mia vita. Nei periodi più difficili per me Davide è stato al mio fianco. Quando posso lo supporto in tutti i modi possibili. Credo che sia uno di quegli incontri che, fra qualche anno, forse parlandone si guarderà indietro a quello che abbiamo fatto insieme e si guarderà ad un risultato molto grande. Credo che sia una persona che merita da parte dell’attenzione nazionale tantissima importanza perché è una voce di Napoli nuova e allo stesso tempo sta dando un contributo molto grande alla musica italiana. Davide mi dice sempre che non contano né i premi, né gli incassi. È una persona interessata sempre alla canzone che sta per arrivare. E questo gli deve essere dato come merito.

Una curiosità…hai mai presentato una canzone a Sanremo?

Come solista no. Come Lùnapop si. Con i Lùnapop ci presentammo a Sanremo davanti ad una commissione, ma all’epoca il gruppo era visto quasi con antagonismo. Erano un periodo diverso gli anni Novanta. Ricorderete che al tempo la musica non era ancora così fluida. Già la parola cantautore la conquistavi dopo quindici anni di carriera…Oggi che tutti questi schemi sono saltati, è bello ricordare la cosa con leggerezza. Quindi presentammo la canzone a Sanremo e la scartarono, ma in quell’anno il nostro disco rimase primo in classifica e ci rimase per un anno intero.

Per chiudere, in molte delle tue canzoni sentiamo un’influenza particolare. Tu sei di Bologna, giusto?

Esatto.

Però ci devi spiegare perché quando dici “non ho più te” viene fuori una cadenza calabrese…

Allora, ve lo racconto. Ogni tanto sulla “t” mi viene fuori quel suono un po’ sospirato…

Quale sarà l’aneddoto raccontato da Cesare Cremonini? Per scoprirlo guarda il video integrale dell’intervista!

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