Nel supercarcere israeliano di Beer Sheva, alcuni degli attivisti fermati dopo l’intercettazione della Flotilla hanno iniziato uno sciopero della sete. Secondo quanto riportato da La Repubblica, tra i detenuti ci sono anche cittadini italiani. Le autorità israeliane hanno trasferito i fermati in diverse strutture, ma la maggior parte si trova a Beer Sheva. Non ci sono informazioni ufficiali sulle condizioni di salute dei detenuti, ma secondo alcune fonti, i legali degli attivisti stanno cercando di ottenere notizie più precise.
Sciopero della sete e condizioni in carcere
Secondo quanto riportato da La Repubblica, alcuni degli attivisti fermati hanno iniziato uno sciopero della sete per protestare contro la detenzione. Gli avvocati degli attivisti hanno dichiarato che “non sono state fornite informazioni chiare sulle accuse” e che “i detenuti lamentano condizioni difficili”. Il Manifesto descrive la situazione nelle carceri israeliane come “scene di Bolzaneto”, riferendosi a condizioni di detenzione particolarmente dure. Secondo alcune fonti, i detenuti avrebbero denunciato la mancanza di contatti con l’esterno e la difficoltà di comunicare con i propri legali.
Nessuna traccia degli aiuti trasportati dalla Flotilla
Non ci sono notizie certe sulla destinazione degli aiuti umanitari trasportati dalla Flotilla. Repubblica scrive che “non è stato possibile verificare dove siano finiti gli aiuti”. Secondo alcune fonti, il carico sarebbe stato sequestrato dalle autorità israeliane subito dopo l’intercettazione della nave. Il Post riporta che le organizzazioni coinvolte stanno chiedendo chiarimenti sul destino degli aiuti, ma al momento non sono arrivate risposte ufficiali.
La situazione dei cittadini italiani
Secondo quanto riportato da Il Post, tra le persone fermate durante le operazioni legate alla flottiglia diretta verso Gaza ci sarebbero quindici cittadini italiani. La notizia ha immediatamente attivato la macchina diplomatica: le autorità italiane stanno seguendo con attenzione l’evolversi della situazione, e hanno formalmente richiesto di poter incontrare i connazionali attualmente detenuti.
Nel frattempo, la Repubblica sottolinea il crescente stato di preoccupazione da parte delle famiglie degli italiani coinvolti, che lamentano una scarsità di informazioni ufficiali e una comunicazione difficile con i propri cari. Alcuni parenti hanno dichiarato di non ricevere aggiornamenti da ore, mentre gli avvocati dei detenuti hanno sollevato dubbi sul rispetto delle procedure previste dal diritto internazionale.
In una nota congiunta, i legali hanno affermato: “Chiediamo che venga garantita l’assistenza consolare senza ulteriori ritardi e che vengano rispettati i diritti fondamentali dei nostri assistiti, a partire dall’accesso a cure mediche, cibo e comunicazioni con l’esterno”. Il caso sta suscitando reazioni anche a livello politico e tra le organizzazioni per i diritti umani, che chiedono chiarezza e trasparenza sulle condizioni di fermo e sul trattamento riservato ai cittadini stranieri coinvolti nell’operazione.