Era il 16 settembre 2022 quando Mahsa Amini morì dopo tre giorni di coma all’ospedale Kasra di Teheran, mentre era in custodia della cosiddetta polizia morale, arrestata con l’accusa di non aver indossato bene il velo obbligatorio per tutte le donne in Iran. La morte della ventiduenne provocò un’ondata di proteste antigovernative, che in realtà non si sono mai fermate. Ma sono molte le persone che vorrebbero scendere in piazza soprattutto nel giorno dell’anniversario della scomparsa della studentessa curda, diventata simbolo della condizione femminile sotto la Repubblica dell’Iran.
Più il momento si avvicina, più cresce la tensione nel paese. Un ampio schieramento di forze di sicurezza vigila già le principali piazze di Saqqez-città di origine di Mahsa- e dove nei prossimi due giorni sarà dichiarata la legge marziale per impedire raduni di protesta. Le strutture alberghiere non accettano ospiti da fuori e pressioni sono state fatte alla famiglia affinché cancellasse la commemorazione “religiosa e tradizionale” che avrebbero voluto tenere sulla tomba della ragazza.
E mentre le autorità effettuano arresti -già ventotto le persone fermate- e bloccano internet, squadre di agenti armati delle Guardie della rivoluzione in motocicletta stanno intensamente pattugliando anche i quartieri centrali di Sanandaj, sempre nel Kurdistan iraniano, minacciando i cittadini e affermando che qualsiasi forma di protesta sarà fermata anche a colpi di arma da fuoco. Non solo parole, visto che già nei mesi scorsi la polizia ha mostrato il pugno duro, sparando anche ad altezza d’uomo e ferendo a morte i manifestanti pacifici. Quasi 600 le vittime e sette le condanne a morte per impiccagione ai danni di giovani iraniani accusati di “fare guerra contro Dio”.