Lo scorso maggio aveva compiuto 100 anni. Tedesco di origine ebrea, si chiamava Heinz Alfred, era nato in Germania nel 1923 (a Furth, in Baviera). Per sfuggire alla persecuzione nazista si trasferì con la famiglia a Londra e successivamente a New York nel ‘38. Durante la Seconda guerra mondiale servì, con la divisa del suo nuovo paese, come traduttore madrelingua ai soldati americani in trincea. Poi, a conflitto vinto, gli studi e l’ingresso in politica con i repubblicani, ma fu consigliere anche di democratici, da Kennedy e Johnson. Segretario di Stato con Nixon e Ford, ambasciatore e politologo, nel ’73 venne insignito del Premio Nobel per la Pace. A lui si debbono il primo e faticoso riavvicinamento degli Usa alla Cina del dopo-Mao e le trattative per mettere fine alla tragica guerra in Vietnam con un contributo determinante agli Accordi di Parigi.
Non mancano le ombre sulla sua condotta, a partire dal coinvolgimento nel golpe di militare di Augusto Pinochet in Cile -sostenuto dalla Cia per mantenere l’influenza degli Usa in Sudamerica- e per una “Realpolitik” basata sull’opportunismo, con la convenienza quale unico criterio e parametro di scelta di un governante.
La sua influenza politica scemò all’inizio degli anni Ottanta, dapprima con la presidenza democratica di Jimmy Carter e non tornò neppure con Reagan e Bush. Kissinger rimase però attivo partecipando a gruppi politici e svolgendo attività di commentatore tv, diarista e conferenziere, tanto da risultare decisivo nella mediazione con la Fifa per garantire agli Usa il mondiale di calcio del ‘94. Tutte qualità che, oltre a farlo considerare tra i massimi esperti di diplomazia del Novecento, lo hanno fatto riconoscere alla stregua di un “Machiavelli del XX secolo”.
Prima dell’estate aveva fatto un ultimo viaggio in Cina per un colloquio con il primo ministro cinese Xi Jinping a Pechino. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche -a luglio di quest’anno- Kissinger aveva incontrato Giorgia Meloni.