Enrico Brignano: “La romanità vera non c’è più, quella di adesso è cafona e sgraziata”

In un'intervista, Enrico Brignano ha riflettuto sulla sua città, raccontando anche gli esordi da attore e il rapporto con Gigi Proietti.
La riflessione dell’attore sulla sua città

Quest’oggi, il Corriere della Sera ha pubblicato una lunga intervista di Enrico Brignano, che ha spaziato dalla sua carriera da attore comico fino alla vita privata, senza dimenticare la sua amata città natale, Roma. È proprio sui suoi concittadini e sul come viene percepita la Capitale che l’attore si è voluto concentrare. Ecco le sue parole.

“Siamo in caduta libera, nel declino totale anche della lingua. Ridotti al “Bella, fratè”. La romanità vera non c’è più. Quella di adesso — auto a noleggio e mazzette di soldi mostrate su TikTok — non mi piace, è cafona e sgraziata. Il coatto buono di cuore non esiste più, rimpiazzato da gente che si tatua il filo spinato sul braccio o si fa il polpaccio nero, manco avesse strusciato contro la marmitta.”

Una visione particolarmente pessimistica, quella di Enrico Brignano. E a proposito di Roma, la vicina di casa dell’attore è Giorgia. La cantante, infatti, abita “A due appartamenti dal mio. La sento cantare. Ci incontriamo ai bidoni con i sacchetti dell’umido.”

Nella chiacchierata con il quotidiano, Brignano ha avuto anche modo di parlare dell’incontro con Gigi Proietti e dell’inizio della carriera da attore. “Lo vidi in tv, parlava del suo laboratorio teatrale. A 17 anni, accompagnato da mamma e papà, andai a Trastevere a chiedere informazioni.”

Fino al giorno del provino col il Maestro. “Quando Gigi entrò, quasi non riuscivo a parlare, ero tesissimo, volevo morire sul posto. Lui impassibile. Disperato, attaccai con lo sketch dell’annuncio dei treni in partenza, ripetuto in ogni dialetto. Alla fine ridevano tutti i provinanti. E pure Gigi. Mi ero fatto le ossa con le serenate sotto ai balconi. In sei, vestiti da Rugantino, pantaloni di velluto pure ad agosto. Ci davano 700 mila lire, una piotta a testa.” – questo il racconto di Enrico Brignano.

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