Il nuovo rapporto Censis fotografa un Paese più fragile, dove redditi e ricchezza si sono assottigliati e la capacità di fare affidamento su servizi sanitari e assistenziali viene percepita come sempre più incerta. Nel periodo compreso tra il primo trimestre del 2011 e quello del 2025, il patrimonio delle famiglie italiane si è ridotto complessivamente dell’8,5%, con una contrazione che pesa soprattutto sul ceto medio. Parallelamente cresce l’ansia per il futuro: quasi otto cittadini su dieci non ritengono di poter contare su un adeguato sostegno in caso di non autosufficienza.
Ricchezza in calo, colpiti soprattutto i ceti medi
Il dossier evidenzia come la compressione della ricchezza abbia colpito in modo diseguale le famiglie.
Il 50% più povero ha perso il 23,2% del proprio patrimonio. Le fasce comprese tra il sesto e l’ottavo decile hanno subito una flessione compresa tra il 35,3% e il 24,3%. Anche tra le famiglie del nono decile la ricchezza risulta in arretramento (-17,1%). Solo il 10% più benestante vede un aumento, seppur contenuto, pari al 5,9%.
Sanità e assistenza: fiducia ridotta ai minimi
Il 78,5% degli italiani teme di non poter accedere a servizi sanitari e assistenziali adeguati qualora si trovasse in una condizione di non autosufficienza.
Il problema riguarda anche la gestione delle emergenze climatiche: per il 72,3% gli aiuti statali, in caso di eventi estremi o catastrofi naturali, non sarebbero sufficienti.
Italiani più inclini alle polizze, ma pochi agiscono
Più della metà degli intervistati (54,7%) sarebbe disposta a investire fino a 70 euro al mese per proteggersi da rischi legati alla non autosufficienza, ai danni climatici o ad altri eventi avversi.
Il 52,3% pensa che rivedere i propri consumi per acquistare strumenti assicurativi sia possibile.
Eppure, nella pratica, il 70% non ha avviato alcuna forma di tutela finanziaria. Solo il 10,7% ha optato per una polizza. Gli altri contano su strategie differite: “ci penserò se succede” (37,2%), i risparmi (34,5%), il welfare pubblico (22%), la famiglia (19,9%) o reti amicali e volontari (14,7%).
Un mercato del lavoro che invecchia
Il rapporto descrive una progressiva “senilizzazione” dell’occupazione. L’aumento registrato nel biennio 2023-2024 (+833.000 occupati) è legato in larga parte agli over 50, che crescono di 704.000 unità. Anche nei primi dieci mesi del 2025 l’incremento degli occupati (+206.000) dipende esclusivamente dalle fasce più anziane (+410.000), mentre scendono i lavoratori tra 35 e 49 anni (-96.000) e gli under 35 (-109.000).
Giovani sempre più inattivi e produttività in calo
Tra i giovani cresce il numero degli inattivi, aumentati di 176.000 unità nei primi dieci mesi dell’anno (+3%).
Nel biennio 2023-2024 gli occupati sono aumentati del 3,7%, le ore lavorate del 5,3%, ma il Pil solo dell’1,7%. Di conseguenza, la produttività arretra: -2% per valore aggiunto per occupato e -3,5% per valore aggiunto per ora lavorata.
Automazione in accelerazione
L’Italia scala le classifiche globali sull’automazione: 14ª al mondo per intensità e 6ª per numero di robot installati nel 2023, con oltre 10.000 nuove unità operative.
Produzione e salari: un divario persistente
Nel settore automotive, dal 1995 al 2022 la produzione è cresciuta del 61,4% e il valore aggiunto del 17,2%, mentre gli occupati sono scesi da 207.000 a 163.000 (-21,3%).
Il valore aggiunto per addetto è aumentato del 48,8%, ma i salari solo del 9,3%.
Europa poco incisiva agli occhi degli italiani
Il 62% ritiene che l’Unione europea non abbia un ruolo decisivo nello scenario globale.
Il 53% la vede destinata a una posizione marginale e il 55% considera che la spinta propulsiva dell’Occidente sia ormai superata da Cina e India.
Fiducia nei leader: Papa Leone XIV in testa
Sette italiani su dieci giudicano partiti, Parlamento e leader politici incapaci di rappresentare il Paese.
L’unico a ottenere la fiducia della maggioranza è Papa Leone XIV (60,7%). Seguono Pedro Sánchez (44,9%), Friedrich Merz (33,5%) e Ursula von der Leyen (32,8%).
Sul fronte USA, solo il 16,3% esprime fiducia in Donald Trump.
Difesa e spesa sociale
Il 43% degli italiani non approverebbe un intervento militare neppure in aiuto di un alleato NATO.
Il 66% ritiene che, se il rafforzamento della difesa imponesse tagli al welfare, sarebbe preferibile rinunciare al riarmo.
Giovani e scuola: preparazione percepita come insufficiente
Il 28,3% degli studenti tra 16 e 19 anni giudica la scuola inadeguata a prepararli al futuro; tra i 18-19enni la quota sale al 32,7%.
Chi è insoddisfatto punta il dito contro un sistema distante dalla vita reale: il 74,6% pensa che “la vita vera sia fuori dalla scuola”, il 57,8% non la vede come strumento per comprendere il mondo e il 53% non la considera “palestra di vita”.
Studio e futuro: cresce il disorientamento
Il 26,1% non vede nella scuola le basi per il proprio avvenire e il 27,2% non crede che lo studio possa aiutarlo a realizzare i propri progetti.
Cosa chiedono gli studenti
Il 56,1% desidera più indicazioni pratiche per muoversi nel lavoro; il 41,9% chiede metodologie più dinamiche; il 31,1% programmi più aderenti alla realtà.
Sul fronte dell’educazione affettiva e sessuale, il 34,7% ritiene utile introdurla; il 19% vorrebbe imparare a riconoscere fake news e truffe online.
Il ruolo dei pensionati nel welfare familiare
Il 43,2% dei pensionati sostiene regolarmente figli e nipoti.
Il 61,8% ha già contribuito (o intende farlo) a spese rilevanti come l’acquisto di una casa.
Il 54,2% degli italiani giudica giusta l’indicizzazione delle pensioni oltre i 2.500 euro lordi, riconoscendone la funzione di supporto familiare.
Risparmio e prudenza tra gli anziani
Il 94,2% dei pensionati mantiene uno stile di vita cauto per proteggersi da malattie o perdita di autosufficienza.
L’89,7% gestisce i risparmi con grande attenzione e l’82,2% monitora costantemente il bilancio domestico.
La maggioranza (72,6%) sarebbe disponibile a continuare a lavorare dopo il pensionamento, purché senza penalizzazioni fiscali.
Industria in sofferenza, armi in crescita
L’indice della produzione industriale segna valori negativi da 32 mesi consecutivi. La manifattura è arretrata nel 2023 (-1,6%), nel 2024 (-4,3%) e nei primi nove mesi del 2025 (-1,2%).
La fabbricazione di armi e munizioni, al contrario, è cresciuta del 31%.
Settori a rischio
Tra i comparti più esposti al declino figurano tessile e meccanica. Nel 2024 crescono solo le produzioni alimentari (+1,9%). Negative le performance di tessile e abbigliamento (-11,8%), mezzi di trasporto (-10,6%), meccanica (-6,4%), metallurgia (-4,7%) e farmaceutica (-1,7%).
Il debito nelle economie avanzate
Secondo il Censis, nel 2030 il rapporto debito/Pil del G7 supererà il 137%, riportandosi sui livelli del 2020.
Tra il 2001 e il 2024 il debito pubblico è cresciuto in tutti i Paesi avanzati: in Italia dal 108,5% al 134,9%, in Francia dal 59,3% al 113,1%, nel Regno Unito dal 35% al 101,2%, negli Stati Uniti dal 53,5% al 122,3%.
Italia, nuovo record del debito pubblico
A settembre il debito italiano ha raggiunto quota 3.081 miliardi di euro, pari a un aumento del 38,2% rispetto al 2001.
Per il Censis, alti livelli di indebitamento e bassa crescita – aggravati dal progressivo invecchiamento della popolazione – renderanno inevitabile un ridimensionamento del welfare.
Il 59° rapporto offre dunque un quadro complesso, in cui fragilità economiche, sfiducia nei servizi e trasformazioni demografiche convergono, delineando una società chiamata a ripensare il proprio equilibrio sociale e produttivo.
