Dopo dodici anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna definitiva per diffamazione nei confronti di Fabri Fibra, all’anagrafe Fabrizio Tarducci, obbligandolo a risarcire Valerio Scanu con 70.000 euro. La controversia era nata nel 2013, quando il rapper aveva pubblicato il brano “A me di te” nell’album “Guerra e Pace”, contenente riferimenti espliciti e offensivi all’orientamento sessuale di Scanu. Il cantante sardo aveva immediatamente intrapreso azioni legali, portando a una prima condanna penale nel 2015 con una multa di 600 euro e un risarcimento provvisorio di 20.000 euro. Successivamente, la causa civile aveva portato a un risarcimento aumentato a 70.000 euro dalla Corte d’Appello di Milano. (
Le dichiarazioni di Valerio Scanu
Ospite al programma Rai “La volta buona”, Valerio Scanu ha commentato la vicenda, affermando: “Il punto non sono i 70 mila euro che ho avuto come risarcimento da Fabri Fibra, non so manco come li ho spesi. Il punto è che non siamo ancora in un Paese civile”. Questa dichiarazione sottolinea come, per Scanu, la questione principale non sia l’aspetto economico, ma piuttosto la necessità di un cambiamento culturale e sociale nel Paese.
Il contesto e le implicazioni della sentenza
La sentenza rappresenta un precedente significativo nel panorama musicale italiano, essendo la prima condanna per diffamazione legata al testo di una canzone rap. Il caso ha sollevato dibattiti sul confine tra libertà artistica e rispetto della dignità altrui. Mentre alcuni sostengono che l’arte debba essere libera da vincoli, altri ritengono che non debba mai sfociare in offese personali. La vicenda evidenzia l’importanza di un equilibrio tra espressione artistica e responsabilità sociale.