L’intervista a Marco D’Amore in Good Morning Kiss Kiss
Ci è venuto a trovare Marco D’Amore!
«Buongiorno a tutte le persone in ascolto.»
Il 29 febbraio esce nei cinema “Caracas“. Ieri c’è stata la prima con un bagno di folla. Il tuo terzo film da regista che ti vede anche protagonista.
«Sì, insieme a Toni Servillo, a Lina Camelia Lumbroso, che è una fantastica esordiente franco-tunisina, e un cast di attori davvero incredibili.»
Il film è un adattamento del romanzo “Napoli ferrovia” di Ermanno Rea ed è un film fuori dalle righe. Ce lo vuoi raccontare?
«Detto in due parole, è il racconto di una storia realmente accaduta a Ermanno Rea, che ha scritto Napoli ferrovia, e che si imbatte in questo paradosso di essere umano che è Caracas, un fascista che diventa musulmano. Già qua mi dovrei fermare. Noi ci abbiamo messo il carico da novanta perché abbiamo iscritto nel film la lotta intellettuale, emotiva, sentimentale, tra lo scrittore e il personaggio che sta scrivendo. Quindi alla vita si mischia il sogno, alla realtà gli incubi, trascinando lo spettatore in un flusso di coscienza emotiva per cui a un certo punto sarebbe bello se si domandassero “ma questi personaggi esistono davvero? Sono frutto della fantasia o sono dei demoni che questo scrittore cerca di esorcizzare?”»
E noi te la facciamo questa domanda: secondo te?
«L’invito è proprio che lo spettatore completi il discorso e si faccia la propria idea.»
A microfoni spenti ci hai detto che hai fatto un film con un linguaggio particolare, è un film che devi masticare, non devi subirlo passivamente. Ci farai dei soldi oppure no con questo film secondo te?
«Oggi con il cinema purtroppo non ci fa i soldi nessuno, perché il cinema vive un momento di grande depressione e tristezza. Io stimo, invece, l’intelligenza del pubblico. Ho fatto un film complesso perché visto che a me non basta la semplicità delle cose – non che non mi piaccia la semplicità, anzi, è un obiettivo – rilancio in questo modo: invece di adeguarmi e spaventarmi, metto il carico da novanta.»
Qui si vede l’animo del regista. Peraltro, come ti muovi vinci qualcosa, un Nastro d’Argento, per dirne uno.
«Ce lo avevano là, non sapevano a chi darlo!»
E “Caracas” attraversa tanti temi, religione, violenza, fanatismo. Alla fine è quello il messaggio o ognuno è libero di trarre il proprio?
«Ognuno trae le proprie conclusioni. Penso che il macrotema del film stia nella ricerca ossessiva, fanatica, violenta e delicata di ciascuno dei personaggi di un posto nel mondo. Sentire un luogo in cui si sia accolti, amati, desiderati, o semplicemente compresi.»
Non per fare il campanilista, ma ci sono poche città che hanno il potere di far avverare certe cose, Napoli è una di queste. Ha un humus, un habitat particolare.
«Non ne faccio una questione di campanilismo, anche perché sono innamorato del nostro Paese. Secondo me quando si parla di Napoli e anche i napoletani dicono sempre la stessa cosa. Dobbiamo sforzarci anche noi di raccontare in modo diverso questa città, che ha delle specifiche particolari, una tra tutte è che è veramente un esperimento sociale quotidiano. Ed è la ragione per cui non omologandosi a un certo tipo di cultura che massifica le cose, riesce a esprimersi attraverso l’arte in maniera esplosiva.»
Nel tuo film c’è Toni Servillo, oltre a tuo collega è prima un amico.
«E ancor prima di amico è un maestro. Ho cominciato nella compagnia di Toni a 18 anni quando lui aveva l’età che ho adesso. Sono passati 25 anni e abbiamo fatto questa capriola per cui il suo allievo è diventato il suo regista.»
Da ragazzo hai iniziato dal teatro, hai fatto gavetta, e hai fatto tanta. È Toni Servillo che ti ha notato o sei stato tu a farti notare da lui?
«Io ho cominciato a pagare le tasse con il teatro a 15 anni, quando ho firmato il mio primo contratto. Poi sono entrato in un bellissimo laboratorio che si teneva in un teatro in provincia di Caserta, Santa Maria Capua Vetere, dove Toni stava per fare le prove di uno spettacolo, una riduzione teatrale del Pinocchio di Collodi. Il regista era Andrea Renzi che tra i tanti ragazzi del laboratorio si innamorò soprattutto di me, e indovinate per cosa? Per i capelli! Poi mi fece un provino e cominciò tutto.»
Visto che sei cresciuto con lui, siete amici, è il tuo maestro, almeno un aneddoto ce lo devi raccontare su Toni Servillo.
«Potrei raccontartene tantissimi, ma voglio dirti questo che è particolarmente toccante. Abbiamo fatto uno spettacolo, La trilogia della villeggiatura, 394 repliche nel mondo. Abbiamo recitato dagli Stati Uniti al Canada, alla Turchia, a tutta l’Europa, è stato un viaggio incredibile. L’ultima recita, la 394°, a Sassari. Lui prima di uscire in scena faceva una sorta di monologo, poi lo spettacolo aveva una conclusione in cui eravamo tutti in scena, lui leggeva una lettera e noi per compiacere il suo personaggio ridevamo. A un certo punto, lui arriva a metà della lettera e si ferma. Un silenzio di minuti. Chiude la lettera, guarda il pubblico e dice “oggi è l’ultima recita di questo spettacolo e mi si spezza il cuore a dirlo. Davanti a voi, volevo ringraziare – si gira verso di noi – questa compagnia di meravigliosi artisti. Per farvi capire quanto sono bravi, io adesso li ho interrotti, sono tutti commossi, ma io mi risiedo, leggo la prima parola della lettera e ricomincia lo spettacolo”. Lui si siede, legge la lettera e noi tutti a ridere all’improvviso. È stato un momento incredibile.»
In “Caracas” Toni Servillo recita in sottrazione, non c’è presenza scenica.
«Però lo sguardo del racconto è tutto destinato al suo personaggio, questo scrittore che torna a Napoli dopo 40 anni e si imbatte in questo paradosso di uomo. Toni ha avuto la capacità di lavorare in sottrazione e restituire un uomo con le sue fragilità e le sue debolezze, senza aver paura di scoprire il fianco, e questo è molto complesso per un attore.»
Ci ascoltano dei giovani che vorrebbero fare la tua stessa carriera. Cosa consigli al giorno d’oggi?
«Non sono molto bravo a dare consigli. Posso dire che quale che sia la strada che si decide di intraprendere, che sia accademica oppure di pratica, bisogna ossessivamente dedicarle la vita. Mi è stato insegnato questo ed è quello che ho fatto e faccio.»
Complimenti, grazie a Marco D’Amore. “Caracas”, al cinema dal 29 febbraio.
«Grazie mille, vi aspetto al cinema!»