Laura Pausini è stata ospite in Dedikiss. Rivivi qui l’intervista integrale!
30 anni di carriera, ma per tutti è rimasta la stessa ragazza di Solarolo che a 17 anni vinse Sanremo con “La solitudine”. È un onore avere qui con noi Laura Pausini!
«Eccola! Sono qua, finalmente sono arrivata da voi!»
Innanzitutto ti facciamo gli auguri per il matrimonio.
«Beh, quella è stata proprio una pazzia.»
E ti facciamo le congratulazioni per non esserti fatta sgamare, nessuno lo sapeva!
«Non lo sapeva nessuno tranne mia sorella, Nicole che è la mia assistente e il sindaco del mio paese. Per organizzare questa cosa ci è voluto del tempo, abbiamo iniziato da agosto dello scorso anno e volevo avere la certezza che il sindaco ci sposasse veramente.»
Ma come hai fatto a non farti sgamare?
«Un po’ mi ha aiutato il trentennale, abbiamo annunciato molte iniziative musicali per festeggiarli. Ho utilizzato questa cosa per dire ai miei parenti “facciamo una cena solo noi, poi starò due anni via”. Non è vero, ma gli ho detto che per due anni non sarei tornata in Romagna. L’altra cosa che mi ha aiutato è stata chiamarmi Laura Pausini, così tutte le cose che ho stampato avevano scritto LP. Quindi, a tutti quelli che facevano il materiale e a tutti quanti ho spiegato che fosse una festa per il trentennale e ci sono cascati tutti. Non è stato facile, perché alcune cose le ho dovute fare la notte mentre la gente dormiva.»
Tipo?
«Le bomboniere. Ho comprato solo degli accessori, poi le costruivo io in casa la sera.»
Quindi vi mettevate tu e Paolo…
«No no, io e basta!»
Abbiamo letto che le fedi sono state ordinate da internet.
«Sì, le abbiamo prese da un famoso sito internet e sono costate 30 euro. Lo dico perché penso sia importante comunicare il messaggio che non per forza i famosi devono avere delle cose di lusso. Ci siamo presi gli anelli che ci piacevano, non li trovavamo in altro modo, li volevamo neri che non perdessero il colore. Volevamo un nero che rimanesse, ci piace come colore. Li abbiamo trovati su internet, e anche se costano poco non c’entra niente, l’importante è il simbolo.»
Dopo il matrimonio, tutti fanno la luna di miele, la tua sarà il tour!
«Certo, perché saremo in tour fino al 2024 inoltrato, non posso dire le date precise perché alcune non sono state annunciate.»
Addirittura inoltrato? Noi sappiamo che parti il 30 giugno da Venezia, poi tocchi la Spagna, poi torni in Italia e parte il tour mondiale.
«Sì, adesso abbiamo annunciato fino al Madison Square Garden di New York il 6 aprile, ma ho chiesto altre date, alcune città non ci sono ancora.»
Quali tappe non ci sono ancora?
«Non è ancora stata annunciata la Sicilia. Spero che le regioni che ancora non ci sono vengano inserite presto. Poi anche Londra, l’ultima volta che abbiamo suonato alla Royal Albert Hall è stato uno dei concerti più belli.»
Si può dire che di 30 anni di carriera 20 li hai passati in tournée?
«Sì, posso dirti che con le tournée promozionali sono anche 25. Per tanti anni ho passato al massimo una settimana a casa.»
Hai spoilerato “Un buon inizio” nei tuoi tre concerti in 24 ore in giro per il mondo, giusto?
«Ragazzi ma quanto siete preparati! È vero, ne ho cantata un pezzettino lì per la prima volta, poi è uscita qualche giorno dopo. È una canzone speciale perché è quella che mi ha fatto venire voglia nuovamente di credere in me. Magari uno dice “ma come non credi in te dopo 30 anni?” Ma la verità è che sono successe delle cose nella mia vita personale, che però riguardano il lavoro. Riguardano persone che lavoravano con me fino a qualche mese fa che avevano influenzato troppo il mio cuore e la mia testa facendomi sentire già arrivata: hai già fatto tutto, hai già scritto tutto, hai già cantato ovunque…»
E tu non sei questo.
«Se penso che alla mia età ho già fatto tutto mi ammazzo! Bisogna avere la forza di andare a vedere cosa c’è oltre, anche se hai vinto un sacco di premi e se hai cantato ovunque, se no la vita non ha senso. Vorrei anche dimostrare a chi mi segue che, nonostante si raggiungano tanti traguardi come è successo a me, non bisogna fermarsi per festeggiare un trentennale e godersela facendosi le unghie sul divano. Secondo me, bisogna alzare il culo e ricominciare, far vedere che tutte le cose che hai vissuto fino a quel momento ti hanno dato tanto da dover ripagare questa vita e ripagare te stessa andando a vedere cosa c’è dopo, anche se sarà qualcosa di minore.»
E allora dove continui a trovare la motivazione?
«Le ho trovate piangendo molto per colpa di quello che veniva detto, perché le parole non erano gentili come quelle che vi ho riportato io. Poi il giorno che sono stati licenziati non me l’aspettavo, in particolar modo per due di loro.»
Parli dei direttori?
«Parlo di due persone che lavoravano in due nazioni della mia casa discografica e che erano capi, quindi coloro che decidono. Non si pensa mai che noi cantanti abbiamo dei contratti con le case discografiche e ci lavorano persone, non macchine; in base ai loro gusti e alle loro idee, ti aiutano o meno. Quando hai due grandi capi che ti dicono che ormai hai fatto di tutto, che ormai sei grande, i giovani adesso ascoltano altra musica, ti colpisce profondamente. Quando mi hanno detto che entrambi non c’erano più, ho detto loro che ero molto contenta del fatto che non avremmo più lavorato insieme e che sarebbe stato un nuovo inizio per loro e anche per me. Chissà, magari questo in futuro ci porterà a essere più capaci di istaurare un rapporto amichevole, ma non professionale, perché non ce la facevo più. Da quel momento, ho avuto voglia di ricominciare a cantare, a produrre veramente e non tenere le cose in casa nei miei provini. Mi sono detta: se in questi due anni mi sono ripromessa che non avrei dato più niente alla mia casa discografica finché ci sarebbero state queste due persone, da adesso è mio dovere ricominciare, nei miei confronti e delle persone che mi ascoltano. Devo trovare una canzone, e in quel momento è arrivata Un buon inizio.»
Tu hai fatto tante follie per i tuoi fan, ma ce ne racconti una che i tuoi fan hanno fatto per te?
«Tra le più strane in assoluto ce n’è stata una di un ragazzo brasiliano qualche anno fa. Quando siamo in tour c’è una ragazza, che si chiama Angelica, che porta tutte le nostre valige in aeroporto prima del nostro arrivo, perché magari stiamo finendo lo spettacolo. Un ragazzo in Brasile si era fatto mettere dentro una valigia, non nostra, ma sua, e si è fatto aiutare a portare questa valigia in mezzo alle nostre.»
Lui era dentro la valigia?
«Sì! Lei [Angelica, ndr] se n’è accorta e non l’hanno imbarcato. Ha detto che quella valigia non era nostra, quindi quelli della compagnia aerea hanno guardato cosa ci fosse dentro, l’hanno aperta anche perché pesava tantissimo.»
Tu l’hai visto o te l’hanno raccontato?
«Me l’hanno raccontato tutti in aeroporto, perché ovviamente lì in Brasile è stata una notizia abbastanza importante, perché trovi una persona in valigia che vuole venire in Italia con noi!»
Parlavamo di “Un buon inizio“: com’è nata la canzone? Sappiamo che è scritta con Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari. Abbiamo anche letto che ci hai messo del tuo, hai cambiato una piccola parte della canzone.
«Io ho ricevuto questa canzone che si chiamava già Un buon inizio, ma non aveva questo testo. Mentre la ascoltavo mi rendevo conto che la sentivo nella mia pelle, la volevo cantare. Però, dentro di me, io e poche persone sapevamo che mi dovevo sposare, e la canzone era dedicata a una coppia che si stava lasciando.»
Quindi l’opposto della tua vita.
«Esatto, e che voleva avere un nuovo e un buon inizio. Quando ho sentito Riccardo, gli ho detto che mi piaceva la canzone, ma bisogna che racconti la verità, quello che sta succedendo veramente: il buon inizio di cui ho bisogno è ritrovare forza in me stessa e avere la capacità di andare oltre e vedere cosa c’è nel mio futuro. Riccardo è stato molto carino, non tutti i cantanti famosi che scrivono canzoni per altri accettano di cambiare i testi. Invece ci siamo incontrati in studio a Milano e abbiamo messo a posto tutte quelle frasi fondamentali per esprimere il nuovo inizio di una persona che ha voglia di ricominciare ma anche un po’ di paura.»
Ricordi quali sono queste frasi?
«Praticamente tutte! [ride, ndr] No, però sono la maggior parte del testo. Ad esempio, non abbiamo cambiato “cade un sorriso dalle labbra, come un bicchiere che si rompe sul pavimento”. Questa c’era già.»
Ti piaceva già?
«Mi sembra abbastanza rappresentativa, perché allora non sorridevo mai, mi sentivo dei pezzi di vetro nel cuore, come se si fosse rotto un bicchiere.»
Tra l’altro ci hai portato il vinile del singolo.
«Il vinile ha un’altra copertina rispetto alla foto originale. Poi c’è anche il lato B.»
Dove ci sono le scarpe tue e di Paolo, che sappiamo già che tuo padre ha preso…
«Ah, ma sapete tutto! Sì, perché mio padre, diciamo, ogni premio che vinco, ogni cosa che gli piace tra i vestiti che metto, la prende.»
Tuo padre sempre presente nella tua vita.
«Certo, mio babbo è un mio amore grande.»
Si sta occupando del museo che verrà, lo sta riempiendo.
«Esatto. Quando ho vinto Sanremo, nel ’93, non c’erano i telefonini, c’erano ancora gli elenchi telefonici. Io non sapevo che sarei andata a Sanremo, ma tutte le persone, dopo che ho vinto Sanremo, trovavano il mio indirizzo di casa sapendo che mio padre si chiama Fabrizio Pausini. Ce li siamo trovati tutti fuori di casa, c’erano le tende fuori da casa dei miei genitori quando ho vinto Sanremo. Quindi mio padre mi disse: “quando avremo un po’ più di soldi, prendiamo un’altra casa, questa la faremo diventare il tuo fan club”. Infatti, da subito, praticamente dopo un annetto, è diventato il fan club e quest’anno diventerà un museo, dato che sono successe tante di quelle cose. Il fan club si chiama “Laura 4 U”, il museo è dedicato a loro, potranno venire a vedere cos’abbiamo fatto.»
Beh, è la tua vita.
«La nostra vita, dei fan che si sono iscritti.»
Ci saranno le madri e i papà con i figli.
«Si chiamano Laura molte figlie, fa impressione. Ma sì, 30 anni è una vita intera, uno si è costruito una famiglia, alcuni si sono lasciati, altri si sono ritrovati. Sono gruppi di persone che si vogliono bene.»
Ho letto che tuo padre ti faceva rispondere ogni giorno alle lettere dei tuoi fan.
«Sì, quando non c’erano i social arrivavano un sacco di lettere nella famosa casa con l’indirizzo sull’elenco telefonico. Quando ho vinto Sanremo, non sono andata sognando di diventare famosa, mi è capitato. La notte che ho vinto ho chiesto ai miei genitori: “ma cosa fanno le persone famose?” Ricordo che mi ero istruita, non c’erano internet e i social, non era così facile sapere queste cose. Avevo il mio idolo, Anna Oxa, avevo i poster di Vasco, di Raf, di Biagio, di Eros, mi ispiravo a loro, però pensavo di fare un altro mestiere nella mia vita. Quando mi è successo, mio padre mi ha spiegato che dovevo diventare disciplinata, responsabile e rispettosa delle persone che mi avevano fatto vincere.»
Parliamo del tour: cosa ci dobbiamo aspettare?
«Beh, innanzitutto il racconto di 30 anni di vita. E anche il racconto visuale, perché sto lavorando insieme a Fabio Novembre, uno dei nostri migliori architetti e artisti, inventore di oggetti di design che ci rappresentano nel mondo in maniera notevole. Insieme a lui abbiamo già studiato il palcoscenico che vedranno le persone che verranno a Venezia e a Siviglia, che saranno le due anteprime nelle piazze quest’estate. Da dicembre, che inizia il tour dall’Italia, ci sarà un altro tipo di spettacolo visuale che stiamo facendo in questi giorni, tra tutti questi giri.»
Giri in Italia, tra le radio. Praticamente Laura Pausini non dorme perché sta scrivendo il visual tour!
«Sembra facile, ma è molto complicato, perché per come lavoro io mi piace che le cose siano molto sincere nella parte musicale, visuale, di interpretazione, di posizione dei musicisti, dell’outfit. È un lavoro di gruppo. Se, per esempio, cambio l’arrangiamento di una canzone, allora cambia il visual, il contenuto, il palcoscenico si deve muovere in un altro modo. E poi è difficile perché purtroppo in Italia non abbiamo dei palasport costruiti per accogliere gli spettacoli musicali, quindi ogni volta che mi viene un’idea non entra in tutti i palasport. Ogni volta bisogna adattarla, e non sempre si può cambiare solamente in una città o nell’altra, in alcune occasioni certe cose non si possono fare in nessun palasport, se non magari solo a Milano.»
Perché è più grande?
«Non solo per la grandezza. Io amo andare a cercare le ultime novità tecnologiche in modo da proporre uno spettacolo alla gente, cose che magari non hanno mai visto. Se uno paga un biglietto, e ultimamente i concerti costano tanto, mi piace far vedere uno spettacolo particolare e nuovo. Sono sempre alla ricerca di questo, ci sono persone che vanno in giro e vanno a Las Vegas ai raduni mondiali sulla tecnologia nei concerti. Solo che alcune macchine hanno bisogno di una costruzione che si fa nel retro del palco, che ha bisogno di spazi in altezza o in lunghezza che non ci sono in praticamente nessun palasport italiano. Quindi, non riesco mai a portare delle cose innovative che vorrei portare e divento pazza.»
E alla fine come fai?
«Cerco di trovare una soluzione. In queste ultime due settimane sono arrabbiatissima perché voglio far entrare una cosa che voglio fare.»
Non si direbbe!
«Beh, ma durante le riunioni. Ma poi, io arrabbiata come posso essere?»
Non ti prendono mai troppo seriamente?
«No beh, spero lo facciano!»
Il gruppo di lavoro presente qui in studio che dice “no no, invece la prendiamo seriamente”.
«Mi devono prendere seriamente, perché loro sanno che la priorità da quando mi sveglio a quando vado a letto è cercare di rispettare il pubblico. Io sarei potuta essere da tutt’altra parte in questo momento e non fare il lavoro più bello del mondo. Invece, dopo 30 anni, sono qui che parlo a varie generazioni della mia musica, dei miei spettacoli. Ma voi vi rendete conto? Uno si sveglia la mattina e non si dimentica dov’è nato, cosa faceva, chi era e chi è. Io vivo per ringraziare per quello che mi è stato dato quel giorno a Sanremo, perché da lì è successo di tutto. Ho tantissima roba che vorrei raccontarvi, ho incontrato tantissima gente e mi successe delle cose incredibili che ho cercato di meritarmi.»
Hai collaborato con i più grandi del mondo, come Madonna, Phil Collins, Ricky Martin, Barbra Streisand. Tra tutti i personaggi famosi che hai incontrato, chi è il più famoso?
«Allora, il più famoso con cui ho cantato è stato Michael Jackson. Mi sto accorgendo, negli ultimi anni, che siccome non esistevano i social quando sono successe certe cose nel passato, evidentemente in Italia alcune notizie mie non si sapevano, perché quando le racconto mi dicono “Ah, veramente?” È successo veramente ed è strano, perché vi ricordo che ogni mattina, quando mi sveglio, io so che sono di Solarolo, in provincia di Ravenna. Poi improvvisamente mi specchio e di fianco c’è Michael Jackson. È un po’ strano!»
Gli hai visto fare il moonwalk?
«No. L’ho visto sul palco ma non l’ho visto da vicino. Quando, purtroppo, sono cadute le Torri Gemelle, Michael Jackson ha scritto una canzone in inglese e in spagnolo dedicata alle famiglie dei pompieri che morirono in quell’occasione. Per la presentazione di questa canzone che in spagnolo si chiama Todo Para Ti, c’era un gruppo di cantanti, io rappresentavo l’Italia, con cui abbiamo fatto questa canzone così importante per aiutare le famiglie dei pompieri scomparsi. Sentire Michael Jackson per la prima volta in spagnolo e sentire la sua voce è stato stupendo, una grande emozione.»
“Looking for an Angel” ha testo e musica di Phil Collins, per farvi rendere conto con chi ha collaborato Laura Pausini.
«Lui è stato il primo famoso che mi ha fatto pensare che poteva succedere qualsiasi cosa. Qualche anno dopo aver vinto Sanremo, mi hanno chiesto con chi avrei voluto collaborare e ho risposto che uno dei miei preferiti è Phil Collins. Alcune persone che all’epoca lavoravano con me mi dissero “Sì, ma Phil Collins mica ti caga!” Una persona che lavorava con tutt’e due mi ha dato il numero di casa e gli ho lasciato un messaggio nella segreteria telefonica. Lui l’ha sentito e a sua volta ha lasciato un messaggio nella mia segreteria. Io dormivo e avevo Phil Collins che mi diceva “so chi sei Laura, sei quella che canta Non c’è, non c’è” e ho pensato “Non ci posso credere!” Da lì ci siamo conosciuti e abbiamo cantato insieme un sacco di volte. Lui ha un’associazione che aiuta i bambini, adesso non sta tanto bene, ma per tanti anni ha fatto concerti per avvicinare i bambini alla musica per aiutarsi coi loro problemi.»
Ti va di mandargli un messaggio?
«Assolutamente. Filippo…»
Lo chiami in italiano.
«Ogni tanto lo chiamo così! Filippo, Phil, mi manchi tanto, spero tu stia bene. Spero di poterti riabbracciare presto e di poter cantare di nuovo con te.»
È stata con noi oggi Laura Pusini, grazie Laura!
«Grazie ragazzi!»