“Le città di pianura”: il road movie veneto che sta conquistando gli italiani

Un'analisi del film 'Le città di pianura' di Francesco Sossai, che esplora le dinamiche di un Veneto tra passato e presente attraverso le vicende di tre personaggi in cerca di un tesoro perduto.

C’è un piccolo film italiano che, senza clamore né campagne pubblicitarie, sta sorprendendo pubblico ed esercenti: Le città di pianura di Francesco Sossai. Un titolo che, nel giro di tre settimane, è passato da un’uscita limitata in 16 sale del Triveneto a essere tra i film più visti in Italia. Un risultato raro per un’opera indipendente, arrivata al pubblico quasi esclusivamente grazie al passaparola.

Dal Veneto a tutta Italia: un fenomeno silenzioso

Il film era stato distribuito inizialmente solo tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, incassando 90 mila euro nella prima settimana. Poi, quando la Lucky Red ha deciso di estendere la distribuzione su scala nazionale, il risultato è stato sorprendente: 274 mila euro nella settimana successiva e un incremento del 12% nel weekend seguente — un dato anomalo per un film d’autore, che di solito vede calare gli incassi già dopo pochi giorni.

Il pubblico, insomma, si è affezionato. In Veneto, dove il film ha avuto il suo battesimo, si parla di “orgoglio regionale”. Ma la forza de Le città di pianura è di aver superato i confini locali: la sua umanità universale ha conquistato anche gli spettatori di Milano, Roma e Torino, dove le sale d’essai continuano a registrare buone presenze.

Un road movie veneto tra ironia e malinconia

La trama segue Doriano (Pierpaolo Capovilla) e Carlobianchi, detto Charlie White (Sergio Romano), due amici di mezza età in cerca dell’“ultima bevuta” prima di tornare a casa. Nel loro peregrinare notturno tra osterie e strade provinciali incontrano Giulio (Filippo Scotti), un giovane studente di architettura che decide di unirsi a loro. Da quel momento, la ricerca di un bicchiere diventa un viaggio più profondo: attraverso la provincia veneta e attraverso sé stessi.

Il film è un road movie dal tono tragicomico, ma con un’anima politica e sociale: dietro i dialoghi asciutti e i silenzi c’è il ritratto di un Veneto post-industriale, smarrito dopo la crisi del 2008. I due protagonisti — ex imprenditori, ex sognatori, ex uomini del “fare” — si muovono in un paesaggio di capannoni dismessi e bar semivuoti, in un tempo sospeso tra rimpianto e rassegnazione.

Il Veneto come specchio dell’Italia

Pur radicato nella cultura veneta, Le città di pianura parla di un’Italia intera. Di una generazione che ha perso i punti di riferimento, di un tessuto sociale che si è sfilacciato, di un paese che non si riconosce più nei suoi miti produttivi. Come ha detto Sossai, “tutta l’Italia, in fondo, è provincia”.

Il film racconta la fine di un mondo — quello delle piccole imprese, dei bar di paese, delle domeniche in trattoria — e lo fa con delicatezza, senza retorica. La provincia veneta diventa così un microcosmo nazionale, dove il comico e il tragico convivono nella stessa inquadratura.

Una colonna sonora che parla la lingua della terra

La colonna sonora di Krano, con i suoi accenti folk e le imperfezioni volutamente lasciate a nudo, accompagna i personaggi come un’eco del paesaggio: nostalgica, ruvida, ma viva. È il suono di un mondo che non si arrende del tutto, anche se ha perso la propria musica.

Perché funziona

Il successo del film non è un caso isolato. È il segno che esiste ancora in Italia un pubblico curioso, capace di riconoscere la forza di un racconto autentico. Le città di pianura non offre risposte né grandi rivelazioni, ma uno sguardo onesto su un Paese che cambia, e che raramente si vede rappresentato così.

È un film che parla piano, ma arriva lontano. Un piccolo miracolo di provincia, diventato — senza rumore — un caso nazionale.

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