Ricca di emozioni la 67esima edizione dei David di Donatello, la cui cerimonia di premiazione si è tenuta presso i Cinecittà Studios, ieri sera martedì 3 maggio. Al timone della conduzione Carlo Conti e Drusilla Foer. Coinvolte alcune eccellenze del grande cinema italiano – attori, attrici, registi – che hanno contribuito a rendere speciale questa cerimonia con i loro discorsi e con le loro parole di ringraziamento.
Quelle più commoventi sono state quelle del regista Antonio Capuano rivolte al pubblico, ai conduttori, all’Accademia del Cinema Italiano, ma soprattutto a sua moglie Willye, scomparsa un mese fa.
“Ringrazio tutti, non capisco perché applaudiate, non me lo merito. Ringrazio Piera e veramente tutti i componenti dell’Accademia, uno a uno. Il premio lo dedico alla mia ragazza che non c’è più”, ha detto in ricordo della sua compagna, dopo che il conterraneo Paolo Sorrentino – a lui molto grato, come ha tenuto a sottolineare – gli ha consegnato il premio David Speciale.
Antonio Capuano ha da poco compiuto 82 anni. Regista, scenografo e accademico italiano, nella sua carriera si è distinto per doti personali e professionali, e ovviamente per la sua sconfinata passione per il mondo cinematografico, in ogni suo aspetto. E bastano le parole di Sorrentino, pronunciate all’inizio della premiazione, a confermare tutto ciò: “Antonio è un maestro di libertà e vitalità, il suo cinema è un ritratto della vitalità. Che poi è l’unica cosa che conta, molto più della bellezza o della bruttezza di un film, conta quanto è vitale. Io gli sono molto grato, lui mi ha assunto la prima volta quando ero un ragazzo, non avevo mai lavorato e mi ha assunto in 3 secondi, senza che ce ne fosse nessun motivo valido. Quindi gli sarò per sempre grato. ‘Non ti disunire’ è una frase che mi diceva davvero”, il regista ha spiegato a Carlo Conti. La stessa, d’altra parte, che l’attore Ciro Capano in È stata la mano di Dio Antonio Capuano, rivolge a Fabietto, l’alter ego di Paolo Sorrentino.
Antonio Capuano: alcune curiosità
Una lunga gavetta in televisione come scenografo, poi nel 1991 l’esordio nel mondo del cinema con il lungometraggio Vito e gli altri, film che, narrando la difficile vita dei bambini di strada a Napoli, vince l’ottava edizione della Settimana Internazionale della Critica al Festival di Venezia.
Un successo ancora maggiore arriva nel 1996 con la pellicola Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, sulla storia di un giovane chierichetto molestato dal parroco della sua chiesa.
Negli anni successivi dirige altri film: da Polvere di Napoli (1998) a Luna rossa (2001), da La guerra di Mario (2005) a Giallo? (2009). Poi ancora L’amore buio (2010), Bagnoli Jungle (2015), Achille Tarallo (2018) e Il buco in testa (2020).