Cinquant’anni fa, il 15 agosto 1975, usciva nelle sale italiane "Amici miei", il capolavoro di Mario Monicelli che ha segnato un’epoca con il suo mix di malinconia, cinismo e comicità. Il film racconta le avventure di cinque amici fiorentini dediti alle "zingarate", scherzi goliardici che riflettono una profonda critica sociale.
Un successo inaspettato
Nonostante un’accoglienza iniziale tiepida da parte della critica, "Amici miei" conquistò rapidamente il pubblico, diventando il film più visto della stagione 1975-76 con un incasso di 7 miliardi e mezzo di lire, superando persino "Lo squalo" di Steven Spielberg e "Qualcuno volò sul nido del cuculo" di Milos Forman. La pellicola, inizialmente vietata ai minori di 14 anni, attirò un pubblico ancora più vasto, incuriosito dal divieto.
L’eredità di Pietro Germi
Il progetto di "Amici miei" nacque da un’idea di Pietro Germi, che, a causa di problemi di salute, affidò la regia a Mario Monicelli. Nei titoli di testa del film, si legge "un film di Pietro Germi" seguito da "regia di Mario Monicelli", in omaggio al contributo fondamentale di Germi. Gli sceneggiatori Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, insieme a Tullio Pinelli, contribuirono a creare una sceneggiatura che mescolava ironia e critica sociale, elementi distintivi della commedia all’italiana.
Un impatto culturale duraturo
"Amici miei" ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura italiana. Termini come "supercazzola" e "zingarata" sono entrati nel linguaggio comune, con "supercazzola" addirittura inserita nel vocabolario Treccani. A Firenze, l’Associazione Cult(urale) Conte Mascetti organizza tour guidati nei luoghi simbolo del film, come il Bar Necchi e il binario 16 della stazione, teatro della celebre scena degli schiaffi. Dopo mezzo secolo, "Amici miei" continua a essere un punto di riferimento per il cinema italiano, testimoniando la sua capacità di raccontare l’amicizia e la società con una profondità e un’ironia senza tempo.