Quota 103, ovvero pensionamento anticipato con 62 anni di età e 41 anni di contributi, resterà la norma principale. Con un budget previsto di circa 1,5 miliardi di euro per le pensioni, il governo non sembra propenso a cambiamenti importanti e tanto meno a “colpi di testa”.
Qualche chiarimento dovrebbe arrivare dall’incontro con i sindacati e dalla nota di aggiornamento al Def, il documento all’interno del quale vengono messe per iscritto tutte le politiche economiche e finanziarie del governo.
Le possibili novità
Tra le novità in vista, c’è il possibile lancio di un meccanismo unificato per tutti gli esodi incentivati, una sorta di super contratto aperto agli aventi diritto. Ciò potrebbe rendere più accessibile e semplice per le aziende private, il sistema attuale che consente la pensione anticipata di cinque anni con contributi ridotti.
Tuttavia, un colpo di scena potrebbe nascondersi nelle pieghe della riforma: la fusione dell’Ape sociale e di Opzione donna. L’introduzione di questa nuova formula porterebbe ad abbattere l’età minima richiesta a 60 anni, con requisiti più flessibili per caregiver e lavoratrici in particolari condizioni lavorative.
Altra ipotesi che si sta facendo largo è il ritorno di Quota 96, opzione abolita nel 2012 dal governo Monti, la quale prevede il prepensionamento a 61 anni con un requisito contributivo di 35. In questo caso, per gli alti costi, questa misura potrebbe essere applicata ma con delle limitazioni. Infine, si ipotizza di allargare la platea dei beneficiari di Ape sociale ampliando la lista dei lavori gravosi.
Al momento, l’Ape sociale permette di accedere alla pensione a 63 anni con un requisito contributivo di 30-32 oppure 36 anni, a seconda della categoria di appartenenza. Non prevede, però, la tredicesima né la quattordicesima, stabilendo che l’assegno non possa mai superare 1500 euro al mese.