Doppia forma femminile-maschile nel vocabolario: pro e contro

Novità assoluta nel vocabolario Treccani. Cosa comporta? Lo spiega su Kiss Kiss il prof. Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca.

Questa mattina, in Good Morning Kiss Kiss, abbiamo parlato di lingua, nello specifico della scelta di Treccani di inserire nel vocabolario i sostantivi, quando possibile, con entrambe le forme disponibili, il femminile e il maschile, in ordine alfabetico. Per fare chiarezza, è intervenuto il Presidente dell'Accademia della Crusca, il Professor Claudio Marazzini.

Buongiorno Presidente, bentornato! Sposate anche voi l’iniziativa del vocabolario Treccani di convertire al femminile i nomi delle professioni che fino ad ora sono stati esclusivamente declinati al maschile?

«Buongiorno a voi! Dunque, io distinguerei. Registrare la presenza delle professioni al femminile è giusto, i vocabolari lo hanno sempre fatto, con la limitazione per cui molte professioni non esistevano. Dunque, se io scrivo 'avvocato', è giusto che nella voce lessicografica si dica che differenza c'è tra 'avvocata' e 'avvocatessa'. Naturalmente, quello che è preferito dalle avvocate è 'avvocata' e non 'avvocatessa', che come 'sindachessa' porta quel retaggio del passato di disprezzo nei confronti dell'attività della donna. Per cui l'avvocatessa non è una donna avvocato, ma è una chiacchierona, una rompiscatole.»

Allora dovremmo usare 'dottora' e non 'dottoressa'?

«No, perché 'dottoressa' non si è mai caricato di questo significato negativo, così come 'professoressa'. È anche vero che è stata portata anche questa rivendicazione, attribuendo al suffisso '-essa' un carattere dispregiativo, ma non è vero, perché in certi casi c'è e in altri no, come per 'professoressa' o 'studentessa': ogni parola ha la sua storia. Ora, stabilito il fatto che è giusto che un vocabolario registri la forma femminile per spiegare all'utente quale forma usare e come, metterla a lemma comporta un problema diverso: un accrescimento dei lemmi, cioè uno spazio occupato nel vocabolario da qualcosa che forse può essere utile e forse può essere utile non mettere per razionalizzare la schedatura. Io lascerei la scelta al lessicografo, tecnicamente si parla di "esplosione lemmatica", se si fa esplodere i lemmi e li aumenta, si trova meno spazio per mettere le parole.»

Oppure si aumenta il peso del vocabolario.

«Sì, certo. Se ne facciamo una questione di principio diciamo "ah, ma come, il femminile sta sotto il maschile". Facendo queste battaglie, certamente accettiamo l'esplosione lemmatica. Se invece ci rassegniamo che un ordine logico invece ci va, è diverso. Ad esempio, abbiamo il normale alfabeto "a, b, c, d" e tutti quelli col nome per c iniziano a piangere perché vorrebbero essere prima della b. Esistono degli ordinamenti convenzionali che non hanno un valore morale o di condanna.»

Prima era sufficiente la distinzione degli articoli 'la/lo', oggi non è più sufficiente?

«Intanto, se prendiamo l'avvocato, non si vede più il genere dell'articolo. In altri casi, ad esempio 'la sindaco', crea una contraddizione grammaticale, perché c'è un articolo femminile e un nome maschile.»

Insomma, abbiamo capito che non condivide al 100% questa scelta ma la accetta

«Sì, è una scelta tipografica editoriale, non molto di più.»

Qual è l’iter per cui vengono inserite le nuove parole nel dizionario? Si fa riferimento all'Accademia della Crusca?

«No, no si deve far riferimento all'Accademia della Crusca, perché sia la Crusca che Treccani hanno rubriche nel loro sito in cui registrano neologismi. Ma registrare neologismi non vuol dire accreditarli, vuol dire semplicemente scovarli e spiegarli. I lessicografi come quelli della Zanichelli o della Treccani, inseriscono nel vocabolario secondo dei criteri come la durata di quel termine. I lessicografi seri non mettono un neologismo nel vocabolario se non esiste da un paio d'anni, se no è un occasionalismo. La vera durata di un neologismo non è affidato alle accademie, ma, come diciamo sempre, all'uso; non solo dei parlanti, ma anche degli scriventi colti: articoli, giornali, radio...»

Se ci permette, Presidente, noi continueremo a fare affidamento all'Accademia della Crusca. Grazie davvero per il suo tempo.

«Grazie a voi!»

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