L’educazione ai sentimenti, alla gestione dell’emotività è il tema del momento dopo i noti fatti di cronaca nera che hanno sconvolto l’opinione pubblica italiana nell’ultimo mese. È un tema importante che andrebbe affrontato a scuola, in casa, in generale all’interno della società civile. E per chi è “sospeso” dalla società civile perché detenuto? Negli ultimi anni, il panorama carcerario italiano ha assistito a iniziative significative volte a promuovere l’inclusività e il recupero culturale dei detenuti. Progetti innovativi che, oltre a favorire la crescita individuale di chi è stato condannato alla reclusione, generano impatti positivi su tutta la società.
È davvero notevole e pioneristica l’iniziativa di Unict (università di Catania) nel garantire il diritto agli studi universitari dei detenuti. Attraverso la Conferenza Nazionale Universitaria dei Poli Penitenziari (CNUPP), sono decine gli studenti attualmente reclusi, che hanno ripreso a studiare; anche perché l’iscrizione agevolata e il supporto didattico offerto contribuiscono a trasformare la detenzione in un periodo di formazione feconda.
Altre iniziative mettono a confronto i detenuti non solo con le loro conoscenze culturali ma con il proprio io, con la propria intelligenza emotiva e sociale, sperimentando ruoli e personaggi diversi, come solo a teatro si può fare. Già negli anni Ottanta, il teatro in carcere ha assunto nuovi significati, diventando un’attività laboratoriale e creativa che mira alla riscoperta delle capacità individuali.
Il progetto “Per Aspera ad Astra,” promosso da Acri e sostenuto da dieci fondazioni, coinvolge 250 detenuti in percorsi formativi artistici e professionali nel campo teatrale. La Compagnia della Fortezza, con trent’anni di esperienza, guida questa iniziativa che trasforma detenuti in attori, scenografi, e tecnici teatrali (fonici, scenografi, sarti, etc.). Un cambiamento che non è solo sperimentale ma contribuisce in modo tangibile alla crescita emotiva, culturale e sociale dell’intera comunità e non solo dei detenuti coinvolti. Non tutti riescono a trovare lavoro nel teatro ma tutti acquisiscono una nuova cassetta degli attrezzi da utilizzare nel “mare fuori”.
Una cassetta degli attrezzi che ha a che fare anche con il proprio stile di vita come nel caso de “La Canoa della Salute” a Rebibbia, che non è il titolo di uno spettacolo ma di un Progetto dell’associazione Atena Donna. Con questa iniziativa si coinvolgono le detenute in attività di prevenzione e formazione sulla cura di sé. L’iniziativa, fortemente sostenuta dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia, mostra come l’attenzione alla salute delle detenute possa essere un passo significativo verso il loro recupero emotivo. Il progetto FID (Fare Impresa in Dozza) è un altro esempio concreto di come il carcere possa diventare un luogo di formazione e reinserimento professionale.
Un’azienda meccanica operante nella Dozza, il carcere di Bologna, offre formazione continua ai detenuti – affiancati da pensionati in veste di tutor – dimostrando che dare una seconda possibilità non solo è un atto di civiltà ma anche un’azione economicamente “positiva”. Il successo del progetto, tuttavia, si riflette soprattutto nei tassi di recidiva drasticamente ridotti nelle persone coinvolte nell’iniziativa.