Tropico è stato ospite in Dedikiss
Ci è venuto a trovare l’autore di tantissime hit, il golden boy della musica italiana potremmo dire. È con noi Tropico!
«Ciao, grazie a tutti!»
Tutto ciò che tocchi diventa oro, anzi disco d’oro.
«Ma magari ragazzi.»
Come fai, qual è il segreto? C’è il divertimento, c’è la passione, cosa c’è dietro?
«Il divertimento è sicuramente la prima cosa. Se non ti diverti, fai fatica a fare cose che funzionano. Poi la curiosità. Io sono un grande curioso sulla musica e in generale nella vita.»
Tu sei Tropico, però al tempo stesso sei anche Davide Petrella. Che differenza c’è? Chi è Tropico e chi è Davide Petrella?
«Sembra una domanda un po’ da Batman e Bruce Wayne. Per quanto riguarda la musica, il mio focus è sui miei progetti. Faccio musica per me fin da bambino, poi scrivere per altri è una cosa che è arrivata dopo. Ho scoperto di essere bravo anche a scrivere per altri più avanti. Ma il focus è rimasto sulle mie canzoni. Sono due cose che non si incontrano mai; quando faccio musica per me parlo delle mie cose e prendo le melodie in modo più personale. Quando scrivo per altri mi presto in un team di lavoro diverso e più grande del mio, o che comunque ha necessità diverse. Fortunatamente sono due strade che non si sono mai incontrate.»
Infatti il tuo nuovo album “Chiamami quando la magia finisce” è un album molto personale in cui canti in italiano e in napoletano.
«È una grande conquista per me. Penso che il napoletano sia una lingua molto facile dal punto di vista del suono. Un po’ come l’inglese, qualsiasi cosa dici in napoletano porti a casa un bel suono. Costruire, invece, un immaginario e dei racconti col napoletano è molto difficile. Perché tendi ad accontentarti del suono buono e rinuncia a cercare il significato, le immagini o il contenuto. Ci ho messo un po’ a sentirmi forte col napoletano come mi ci sento con l’italiano. È qualcosa che ho trattato con rispetto e ho cercato il tempo giusto per sentirmi sicuro.»
Dopo Pino Daniele, non ci sono stati molti artisti che si sono imposti sul mercato nazionale con brani in napoletano e in italiano, magari entrambe nella stessa canzone. Coraggiosi gli artisti napoletani che spingono sulla loro lingua. Nel tuo album sei riuscito a far cantare Madame in napoletano in “Anema e notte“. Come è andata?
«È stata bravissima. Si è prestata, si è divertita. Ci abbiamo messo 5, 6 ore per curare la pronuncia. Lei ha fatto un po’ come Chris Martin, si è scritta la pronuncia delle parole più difficili dal suo punto di vista. Devo dire che è stata proprio brava, è credibile, me l’hanno detto anche altre persone. I napoletani sono molto puntigliosi quando una cantante o un cantante non napoletano si approccia al napoletano.»
Ci tengono alla pronuncia, al suono.
«Ci tenevo tanto anch’io. Abbiamo fatto un lavoro dedicato e molto approfondito. Ed ero sicuro che l’avrebbe capito, perché anche lei un annetto fa ha pubblicato un disco che strizza l’occhio al cantautorato italiano [L’amore, ndr]. Ero sicuro che potesse capire qualcosa che pesca da Murolo in particolare. Insomma, ero sicuro che una cosa di qualità potesse emozionarla.»
Non so se hai letto la notizia che in una scuola in provincia di Benevento in cui verranno studiati i testi di Pino Daniele. Cosa ne pensi? Vuoi suggerire i testi di quali altri artisti andrebbero studiati?
«Ce ne sono tanti. Nel gotha per me ci sono Pino, c’è Dalla, Battisti, Battiato, Paolo Conte. Sono tutti o vecchietti o morti [ride, ndr] Anche i testi degli standard napoletani sono un livello altissimo, forse mai raggiunto dalla canzone italiana secondo me. Faccio poca distinzione tra canzone napoletana e italiana. La canzone napoletana è di tutti. Anzi, probabilmente nel mondo la canzone italiana viene identificata con quella napoletana. È sbagliato per me fare una distinzione.»
Tu e Cesare Cremonini avete in comune l’essere due cantautori raffinati ma anche due hitmaker. Le belle canzoni, quelle scritte bene possono diventare anche hit commerciali?
«Devono. Collaboro con un sacco di artisti che vengono dall’urban e dal rap. Penso che il rap, al di là dei sottogeneri, sia proprio all’apice. Sono stati bravi a fare squadra, a collaborare tra di loro e sono all’apice del loro successo. Quando sei lì devi mollare. La musica gira, credo che un po’ verso il pop si tenderà, spero. Non si deve per forza mischiare sempre. Le canzoni che piacciono a me, scritte bene, con una melodia buona, con un testo che abbia un significato sono comunque pop. Battisti, Pino Daniele, Dalla, sono pop. Un po’ ci manca il pop di questo livello in Italia. Credo che in questo momento sia necessario, perché poi l’Italia è quello. C’è bisogno anche di quell’altro lato. Senza nulla togliere ai rapper, che sono stati i più bravi del “team canzoni”, e voglio mettermi in questo team.»
C’è una lista di 100 hit in cui compari come autore. Ad esempio, Due Vite, Italodisco, Cenere, Fragole, Pazza Musica, Parafulmini, Caramello, Vertigine, Panico, La Coda Del Diavolo e tante altre. Come fai? È curioso capire quando un autore scrive o come lo fa, insomma.
«Sinceramente non so come sia possibile che mi sia successo questo. Sono sinceramente innamorato delle canzoni, della scrittura, ma mai avrei immaginato di fare tutto sto casino nella vita.»
Tra poco partirà il tuo tour. A Roma due date sold out, a Napoli sold out. Già stai preparando tutto, cosa ci dobbiamo aspettare?
«Tra poco partiamo con le prove, a dicembre ci saranno le date. È pazzesco cosa sta succedendo, non me l’aspettavo. Ci tengo sempre a dire che la musica è della gente. Io sono un’anomalia, viene tantissima gente ai miei concerti, che rispetto a quanti mi seguono sui social non ha alcun senso.»
A prova del fatto che le persone che ti seguono sui social sono una cosa e i tuoi fan sono un’altra.
«Sì. Per me la cosa principale è che la gente venga ai concerti, perché vedi lì se stai lavorando bene, se sei un artista. Non potevo chiedere di meglio. Il tour sarà una follia poi, perché per distinguersi ed essere, come dicevamo prima, nel “team canzoni”, questo comporta anche suonare. Per me deve tornare questa cosa. Facciamo tornare la gente a suonare, è importante, è una cosa preziosa. Si chiedono tanti soldi alle persone per andare ai concerti, credo sia doveroso offrire uno spettacolo di livello. Noi siamo una carovana gigantesca, siamo in 10 sul palco. Non ci saranno sequenze, sarà tutto riarrangiato. Credo sia importante fare una cosa sincera e soprattutto che vieni al concerto e non ho premuto play su Spotify ma ti ho dato una cosa solo per il concerto.»
Porterai canzoni di qualche anno fa? Come “Dint o scuro”, in cui c’è una frase che mi ha colpito molto “mischio anche Merola con Morricone”. Ce la spieghi?
«Sicuramente, innanzitutto, ci saranno anche canzoni dal disco precedente, perché voglio divertirmi e suoneremo tanto. Merola con Morricone, io sono un grande fan di entrambi. Penso che tutt’ora Merola sia molto sottovalutato, perché i suoi primi dischi avevano un lato orchestrale “alla Morricone”. Invito ad ascoltare in particolare una canzone che si chiama Femmena nera. Il modo in cui è orchestrata sembra di Tom Waits. Buttalo via. Era precedente a molte canzoni con quel mood lì, scuro e orchestrale.»
Sappiamo che da buon napoletano sei scaramantico. Ma una domanda te la dobbiamo fare: a Sanremo ci stai pensando come Tropico?
«Sono sincero, non ho nulla contro il Festival, anzi è una buona occasione, è giusto che un artista vada a farlo. Nel mio caso, sono più terrorizzato di spostare il focus rispetto a quello che sta succedendo. In questo momento siamo una sommossa popolare dal basso che secondo me ha bisogno di diventare più solida. Se avessi una canzone che mi fa stare sereno, per cui non sposto il percorso rispetto a quello che che sto facendo, volentieri. Se non sono sicuro della canzone, non me ne frega nulla. Non credo che Sanremo sia vitale. Devi andare se hai una canzone che puoi difendere bene e che è coerente con quel momento della tua carriera. Non è obbligatorio, tanti grandi artisti non hanno mai fatto Sanremo.»
Grazie per essere stato qui.
«Grazie a voi, è stato un piacere.»