Laura Chiatti: “Convivo con l’ADHD, la conferma è arrivata due anni fa e soffro anche di dislessia e disgrafia”

L'attrice Laura Chiatti ha rivelato di convivere con l'ADHD, la dislessia e la disgrafia, condividendo la sua esperienza personale e le sfide quotidiane che affronta.

Alla vigilia del Torino Film Festival, dove il 21 novembre vestirà il ruolo di madrina, Laura Chiatti si apre con sincerità nel corso di un’intervista al Corriere della Sera. L’attrice ha infatti rivelato di recente di convivere con ADHD, dislessia e disgrafia, una confessione che ha colpito molti per il tono diretto e privo di filtri con cui ha deciso di affrontare un tema rimasto a lungo privato.

“È la prima volta che ne parlo”

Chiatti parte da ciò che l’ha spinta ad aprirsi:
«È la prima volta che ne parlo pubblicamente».
La sua è stata una scelta maturata nel tempo, quasi un atto dovuto verso sé stessa e verso chi vive situazioni simili.
«Ho sentito il bisogno, quasi il dovere di condividere questa cosa. La mente che corre, la fatica di seguire un discorso… Sapevo di avere qualcosa che funzionava in modo diverso».
Nel recitare, spiega, trova un luogo dove fragilità e verità possono coesistere:
«L’atto del recitare lascia spazio alla fragilità, alla fatica, alla verità più nuda. Ma dentro quella stanchezza c’è anche forza creativa, sensibilità. Non cerco comprensione ma parlo per chi si trova fuori ritmo. È un dialogo tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si riesce a fare».

Luce, intermittenze e identità

Nella vita di tutti i giorni, lontano dai riflettori, l’attrice resta fedele a sé stessa:
«Resto io, con tutte le mie sfumature».
Ha imparato a riconoscere il proprio valore senza rinunciare alla vulnerabilità. La maternità è il punto stabile che la riporta al centro:
«Sono mamma, questo è il dono più grande che potessi ricevere dalla vita, perché mi rende immutata con e senza luce. Siamo fatti di luce e intermittenze, e proprio lì, a volte, c’è la parte più vera di noi».

Incertezza e creatività

Chiatti non nasconde le sue insicurezze:
«Lo sono, per potermi mettere così in gioco».
Il desiderio di scrivere una storia è qualcosa che accarezza da tempo, affascinata dallo sguardo dei bambini:
«Vorrei raccontare una storia che guardi il mondo attraverso gli occhi dei bambini, mi affascina la loro complessità emotiva».
E guardando indietro alla bambina che è stata, riconosce radici profonde:
«C’era già un mondo interiore vastissimo».
Oggi, aggiunge, sono i suoi figli e le donne che ha incontrato nel percorso di vita a guidarla:
«I miei maestri sono stati i miei figli, le mie maestre tutte le donne che mi hanno permesso il dialogo, la condivisione, il confronto».

Gli inizi tra musica e testardaggine

Prima della carriera nel cinema, c’erano i palchi delle feste di piazza:
«Alle sagre andavo per la maggiore».
Ricorda con ironia un episodio curioso:
«Quando riuscii a passare di grado con il karaoke, si presentò Beppe Fiorello ma io con tutto il rispetto volevo suo fratello Fiorello, di cui da ragazzina ero perdutamente innamorata».
Si definisce non tanto ribelle quanto insofferente alle costrizioni:
«Diciamo che non sono una persona che riesce a sottostare a dinamiche ingiuste e soffocanti. Ho bisogno di spazi in cui la mia identità possa evolvere liberamente».
Un tratto che porta anche sul set:
«Al cinema, come nella vita, l’autenticità ha un prezzo da pagare».

La sfida del Torino Film Festival

Il ruolo di madrina arriva in un momento di rinnovamento personale:
«È una bella emozione, arriva in un momento della mia vita dove sento il bisogno di rimettermi in gioco».
Non ama le etichette, come dimostra la sua risposta a chi la definisce madrina:
«Non amo le definizioni, ogni donna è mille voci, è una moltitudine come diceva la meravigliosa Michela Murgia. Sarò Laura, che si divertirà a condurre una serata importante».

Cinema, virtuale e umanità

Nel film Quasi Vera di Fausto Brizzi entra nel mondo virtuale interpretando una musa simbolica:
«Sono la musa che rappresenta la seduzione, la consapevolezza, colei che introduce il protagonista al mondo virtuale».
Riflette poi sull’impatto dell’intelligenza artificiale sul cinema:
«Piuttosto che temerla dobbiamo imparare a dialogarci, mantenendo però il cuore umano dell’arte».

Il ricordo di Sofia Coppola

Tra le sue esperienze più importanti cita Somewhere:
«Quando mi chiamò pensai che mi avesse confusa con una mia collega».
Sul set si sentiva spaesata, nonostante la preparazione:
«Mi sentivo piccola, fragile, persa in un contesto enorme, non parlavo inglese malgrado per mesi avessi studiato con un coach».
Ma la regista seppe farle spazio:
«Sofia è stata dolce, mi ha fatto sentire protetta. Una lezione di umanità, prima che di cinema».

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