Il film “Tre ciotole”, tratto dall’omonimo libro di Michela Murgia, è diretto dalla regista spagnola Isabel Coixet e vede come protagonisti Alba Rohrwacher ed Elio Germano. La pellicola, in uscita nelle sale italiane il 9 ottobre, affronta temi profondi come l’amore, la malattia e la riscoperta di sé.
Una storia di separazione e rinascita
Marta (Alba Rohrwacher) è un’insegnante di educazione fisica che vive a Trastevere con il compagno Antonio (Elio Germano), chef in una trattoria romana. Dopo sette anni di relazione, Antonio decide di lasciarla, gettando Marta in uno stato di profonda prostrazione. La donna perde l’appetito e, su insistenza della sorella Elisa (Silvia D’Amico), si sottopone a controlli medici che rivelano una diagnosi grave. Questo evento la spinge a confrontarsi con se stessa e a intraprendere un percorso di riscoperta personale.
Il significato delle “tre ciotole”
Nel film, il titolo “Tre ciotole” assume un significato simbolico attraverso l’incontro di Marta con una terapista olistica, interpretata da Sarita Choudhury. Questa figura introduce Marta alla ritualità delle tre ciotole, trasformando un atto quotidiano in un gesto spirituale. La metafora delle tre ciotole diventa il centro simbolico del racconto, rappresentando il percorso di accettazione e guarigione della protagonista.
Le dichiarazioni dei protagonisti
Alba Rohrwacher ha dichiarato: “Marta è un personaggio che non si ama per niente, all’inizio del film, ma non se ne rende conto. Quando poi dovrà affrontare un altro trauma, ovvero il confronto con una malattia grave, sarà capace di una forza inaspettata, di una luce inaspettata. E inizierà forse per la prima volta nella sua vita a prendersi cura di sé”. Elio Germano ha aggiunto: “Noi abbiamo deciso che il progresso dovesse essere rimozione della morte e del dolore, visti come il male. E quindi facciamo delle vite fondate sulla finzione, su varie finzioni, abitiamo dei mondi che non sono reali. E ci confrontiamo con le cose a cui dovremmo abituarci a dare senso, che dovremmo abituarci da piccoli a risolvere, in maniera del tutto impreparati. Non abbiamo più riti, ritualità: cose inutili dal punto di vista numerico ma che ci aiutano a frequentare il mistero”.