Cos’è la malattia di Pompe?

La malattia di Pompe è una patologia rara, con un’incidenza stimata di un caso ogni 15.000 persone. Si tratta di una condizione genetica che compromette gravemente il funzionamento muscolare. «È una malattia geneticamente determinata, legata a un’alterazione del nostro DNA», spiega il dottor Lorenzo Maggi, dirigente medico presso l’Unità Operativa di Neurologia e Malattie Neuromuscolari dell’IRCCS Carlo Besta di Milano. Intervenuto ai microfoni di Radio Kiss Kiss per le Pillole di Salute del network editoriale PreSa, Maggi ha fatto chiarezza su cosa sia questa malattia e su come evolva nel tempo. «Il problema nasce dal malfunzionamento di un enzima che porta all’accumulo di glicogeno, ovvero catene di zuccheri, all’interno delle cellule», ha spiegato. «Questo accumulo provoca il danneggiamento e, infine, la morte cellulare. Non a caso, la malattia è anche conosciuta come glicogenosi di tipo 2». Dal punto di vista clinico, la malattia di Pompe si presenta in due forme principali: una infantile e una a esordio tardivo. «La forma infantile si manifesta entro il primo anno di vita e coinvolge in modo molto grave il cuore, il fegato e l’apparato muscolo-scheletrico», chiarisce Maggi. «Prima dell’arrivo delle terapie, questa forma era spesso letale». L’altra variante, che si manifesta in età adulta — tra i 30 e i 40 anni — ha un decorso più lento ma comunque altamente debilitante. «I pazienti iniziano ad accusare difficoltà motorie: camminare, salire le scale, alzarsi da una sedia o correre diventano gesti complicati», continua. «In particolare, si osserva una debolezza marcata agli arti inferiori». Ma riconoscere la malattia non è semplice, soprattutto nelle forme a esordio tardivo. «Come spesso accade con le malattie rare, la diagnosi arriva con anni di ritardo», sottolinea Maggi. «Per la forma ad esordio tardivo, il tempo medio per arrivare a una diagnosi è di almeno sei anni. La forma infantile è più facile da identificare per la gravità dei sintomi. In ogni caso, oggi la malattia è ancora largamente sotto diagnosticata». Un ritardo che pesa. «Perché abbiamo terapie disponibili — ribadisce — e diagnosticarla precocemente significa iniziare a trattare il paziente quando i danni sono ancora limitati». Quanto alla vita quotidiana, la malattia ha un forte impatto non solo sui pazienti, ma anche sulle famiglie. «Anche se oggi, grazie alle terapie, la situazione è migliorata. Non possiamo parlare di guarigione, ma gli effetti delle cure sono significativi e hanno cambiato la prospettiva. E con le nuove sperimentazioni in corso, siamo fiduciosi: nei prossimi anni ci aspettiamo ulteriori progressi».

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