La fibrillazione atriale genera un rischio di ictus

Ci sono dei rischi poco noti legati alla fibrillazione atriale: ce li spiega la dottoressa Geppina Eusebio.

Esistono dei rischi spesso poco noti legati alla fibrillazione atriale, tra i quali l’ictus. A spiegare come e perché l’ictus possa essere una grave conseguenza della fibrillazione striale è stata la dottoressa Geppina Eusebio, dirigente medico – cardiologa interventista all’Ospedale di Eboli – nel corso delle consuete “pillole di salute” del sabato che il network editoriale PreSa manda in onda sulle frequenze di Radio Kiss Kiss. «La fibrillazione atriale – ha detto la dottoressa Eusebio –  è un’aritmia molto diffusa nella popolazione, la sua prevalenza aumenta all’aumentare dell’età, soprattutto se ci sono anche altre patologie quali ipertensione, diabete o malattie cardiache». Quando si ha una fibrillazione atriale il cuore batte in maniera irregolare, determinando un ristagno del sangue in una camera del cuore che si chiama “atrio”. «Questo determina la nascita di una sorta di coaguli  che possono spostarsi dalla camera striale attraverso il flusso sanguigno, sino ad ostruire un’arteria del cervello, causando un ictus ischemico».




SINTOMI

Ci sono però dei campanelli d’allarme. «I sintomi più frequenti sono: palpitazioni, affanno, debolezza, qualche volta anche dolore toracico o svenimento. Purtroppo più della metà dei pazienti non ha nessun sintomo e tendono ad adeguare il proprio stile di vita, riducendo l’attività fisica». Per arrivare ad una diagnosi precoce è fondamentale fare visite frequenti nei pazienti che hanno più di 65 anni. Per questi pazienti è cruciale avere una diagnosi precoce, perché è la prima strategia di prevenzione dell’ictus. Se c’è una fibrillazione atriale sarà il medico a prescrivere una terapia. «Il rischio non è uguale in tutti i pazienti, dipende da molti fattori. Per questo i medici, sulla base dei dati caratteristici di ciascun paziente, attribuiscono uno score e decidono se e come intervenire. Non tutti possono fare una terapia anticoagulante. Per alcuni pazienti è più adeguato un intervento chirurgico che permette di chiudere l’auricola nella quale si formano la grande maggioranza dei trombi che costituiscono un rischio». 

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