Questa mattina, in Good Morning Kiss Kiss, abbiamo parlato di scuola e compiti a casa con il Roberto Garofani, professore di Storia e Filosofia e componente della Segreteria Nazionale di UIL Scuola.
Buongiorno professore, benvenuto! Compiti a casa: perché alcuni professori ne assegnano così tanti e altri no?
«Buongiorno e grazie per l’invito. Allora, cerchiamo di mettere alcuni puntini. All’arrivo di ogni periodo di chiusura scolastica si riapre il tema dei compiti. Io spezzo una lancia in favore dei docenti, perché c’è sempre quel principio che anima ogni educatore, cioè la sana e giusta misura che è determinata da un altrettanto sano buon senso. Questa è la strada che porta alla giusta soluzione. Se durante questa settimana che viene prima delle vacanze ho spiegato il periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale o l’inizio di Platone in una classe, chiaramente quel lavoro ha un esigenza per lo stesso discente di essere capito e sviluppato. Questo avviene attraverso quella dinamica di rapporti tra il docente, la materia e il discente, che è determinata anche da quel valore che l’insegnante ha in termini di autorevolezza. Per cui, la vera struttura da costruire è questo rapporto tra discente, docente e materia.»
In soldoni, nessuno può negare l’utilità dei compiti a casa, però quando si esagera è sbagliato. La preside del Convitto Umberto I di Torino ha detto una cosa giusta: se è indispensabile assegnare qualche cosa, fatela personalizzata. Per esempio, leggete un libro, andate a una mostra o in un museo, oppure fatevi raccontare una storia dai nonni. È diverso, no?
«Certo. Tutto questo è determinato anche da come stai svolgendo il programma in classe. Ci sono diecimila fattori che intervengono, perché hai a che fare con un’intera classe, non hai a che fare con un singolo alunno. Quindi, devi trovare la giusta misura e capire anche le differenze che ci sono e come far capire al ragazzo, naturalmente invogliandolo, quanto fosse utile non tralasciare tutto. Anche la sana lettura di un buon libro potrebbe essere un approccio. O come dite voi, la visita ad un museo. Qualsiasi attività culturale. Poi, lo dico sempre: qui scatta il senso di responsabilità. Se si stabilisce un processo educativo corretto, è lo stesso ragazzo che sa autonomamente se dedicarsi allo studio o no. Questo è il principio. È sempre trovare la giusta misura unita a sano buon senso.»
Qualcuno fa delle supposizioni dicendo che i professori assegnano i compiti a casa perché non riuscendo a concludere i programmi in classe, assegnano tutto quello che non riescono a fare ai ragazzi. È un po’ vera questa cosa o sono solamente illazioni?
«In base alla mia esperienza, l’eccezione che confermi la regola vale in ogni posto di lavoro. Ma io, per l’esperienza che ho, non conosco docenti che non si approccino. Magari qualcuno può assumere un atteggiamento di severità che può apparire come tale nell’assegnazione dei compiti. Ma non sappiamo qual è lo stato ricettivo all’interno di ogni singola classe.»
Grazie prof! Buon Natale!
«Grazie mille, buon Natale!»