“Non c’è una sola canzone che mi rappresenti, ma se dovessi scegliere adesso direi Primavera: è la rinascita che sto vivendo”. Così Luca Carboni, con la sua consueta delicatezza, ha accolto il pubblico mercoledì 25 giugno a Villa Pallavicini, sul palco di LIBeRI, rassegna di incontri e parole, per un dialogo intenso con don Massimo Vacchetti. Novanta minuti di confessioni, aneddoti, spiritualità e memoria, in cui la musica ha fatto da filo conduttore, ma è stata la ricerca della felicità, della fede e del senso delle cose a guidare il racconto.
Con il suo tono pacato, da sempre più vicino alla pennellata che al colpo di scena – complice anche la sua passione per la pittura – Carboni ha toccato ogni tappa di un viaggio artistico e personale che dura da oltre quarant’anni. “Dopo tutto questo tempo – ha detto – è l’insieme delle canzoni a definirmi. Ma oggi, davvero, sento Primavera come la mia”.
Un fisico bestiale e il Bologna alla radio
Eppure, anche i suoi brani più noti hanno storie sorprendenti: come Ci vuole un fisico bestiale, nata “ascoltando alla radio Inter-Bologna, coi rossoblù in svantaggio. Era l’epoca in cui andava di moda la palestra, ma per me era una metafora: resistere agli urti della vita. L’equilibrio, il lavoro, la fatica, servono a restare in piedi”.
Frontman per caso, Carboni non ha mai cercato il successo. “Preferivo restare nell’angolo. Non volevo essere protagonista, volevo essere felice”. Un’inclinazione controcorrente per un ragazzo cresciuto nella Bologna fervente degli anni Ottanta, tra cortili, scarpe con i tacchetti (che indossava anche da chierichetto) e partite immaginarie con l’idolo Beppe Savoldi. “Ritagliavo le foto dal giornale e facevo il mio diario-album”.
L’incontro con Lucio Dalla e la voce per caso
Poi la svolta, come spesso accade, avviene per caso. “All’intervallo di una partita Virtus, al bar mi avvicinai a Ron. Poi fu da Vito che lasciai a Lucio Dalla dei testi scritti a mano. Il giorno dopo ero in studio con lui e gli Stadio”. Anche la sua voce, che oggi tutti riconosciamo, fu scoperta per errore: “Gaetano Curreri mi registrò di nascosto. Lucio mi sentì e mi disse: ‘sei un cantante’”.
La malattia e il bisogno di camminare
Ma il momento più toccante arriva quando Carboni parla della malattia. “Durante la chemioterapia ho pensato davvero alla morte. Da lì ho sentito il bisogno di camminare, senza fretta. Ho percorso l’Appennino guardando San Luca, pregando. La mia chiesa ideale è la natura: il mare è la mia cattedrale”.
Quella fede, così radicata ma mai ostentata, lo accompagna da sempre. “In famiglia c’era Gesù, e anche il timore che mi parlasse. Mamma era catechista, io ero geloso dei suoi allievi. A 12 anni, un ritiro a Dobbiaco mi ha fatto scoprire davvero il Vangelo. L’ho sempre cercato dentro di me, non solo in una chiesa”.
Una messa beat, un duetto con Martino Chieffo e il ritorno live
L’arte, la spiritualità, l’ispirazione: tutto si intreccia, come quando ricorda la folgorazione per una messa beat ascoltata in un prefabbricato della Regina Mundi. “Fu un cambiamento che ci conquistò, merito anche del Concilio Vaticano II”. Oggi, il suo nuovo progetto è un duetto con Martino Chieffo, figlio di Claudio, con un cd il cui ricavato andrà in beneficenza. Chiude la serata con Io non sono degno, quasi un sussurro in preghiera.
Ma c’è anche un ritorno atteso: dopo sei anni, Carboni tornerà in concerto l’11 novembre, unica data al Forum di Assago, con lo spettacolo Rio Ari O live, lo stesso titolo della sua mostra bolognese dello scorso anno. Sempre in disparte, sempre con discrezione. Ma con la forza luminosa di chi sa rinascere. Come in Primavera.